
Senato: la fine del bicameralismo perfetto e la nascita di quello imperfetto

Dunque il Senato, o meglio la maggioranza di centro-sinistra-destra, visto che le opposizioni hanno abbandonato l’aula o non hanno partecipato al voto, ha approvato con 178 sì, 17 no e 7 astenuti riforme costituzionali sulle quali, solo pochi mesi fa, chi le ha proposte diceva che era necessaria la massima unità del Paese. Al Ddl costituzionale Boschi-Renzi-Alfano-Verdini ora serve un ultima passaggio parlamentare - alla Camera, dai risultati a oggi scontati - e poi dovrà essere ratificato da un referendum.
Così avremo un nuovo Senato dei 100, composto da 74 consiglieri regionali, 21 sindaci e 5 nominati dal presidente della Repubblica. Senato del quale nessuno ha ancora realmente capito le funzioni, o come verranno davvero nominati i nuovi senatori. Intanto è evidente che alcune regioni, una per tutte la Liguria, sono sottorappresentate rispetto a piccole realtà regionali che hanno meno abitanti di Genova.
Si dice che il bicameralismo è finito, ma le leggi di rango costituzionale, il referendum, la legge elettorale e i trattati con l'Unione europea restano bicamerali, mentre la Camera dei deputati approva le altre leggi e le trasmette al Senato che può disporne l'esame entro 10 giorni su richiesta di un terzo dei senatori. Il Senato, a maggioranza assoluta, può proporre entro 30 giorni modifiche del testo. Poi è la Camera a pronunciarsi in via definitiva. Per bocciarle serve la maggioranza assoluta dei componenti.
Insomma, si doveva abolire il Senato e si è messo in piedi una strana assemblea di consiglieri regionali (95) e sindaci (21), che più o meno continueranno a fare quel che faceva il vecchio Senato, solo con qualche limite in più e con un’evidente ininfluenza di un Senato che sarebbe stato meglio abolire.
La materia è complicata e non sembra appassionare più di tanto gli italiani, per questo, per dipanarla, ci affidiamo al parere (diverso) di due grandi vecchi che di politica e Costituzione se ne intendono: gli ex senatori Emanuele Macaluso, leader “migliorista” del Partito comunista italiano (Pci), e Carlo Smuraglia, presidente nazionale dell'Associazione nazionale partigiani d’Italia (Anpi).
Secondo Macaluso, la legge di riforma costituzionale muta radicalmente il ruolo del Senato: «Sul testo possono esserci, come mi pare ci sono, obiezioni anche ragionevoli: è naturale. Ma la fine del bicameralismo perfetto è un fatto positivo. Com'è noto, il Pci alla Costituente si batté per una sola Camera e accettò il compromesso per evitare rotture che avrebbero potuto compromettere un accordo generale sulla Costituzione. Negli anni il Pci è tornato a proporre la fine del bicameralismo nelle sedi in cui si discuteva della riforma della Costituzione. Recentemente è stato ricordato come Ingrao si sia battuto su questo fronte, ma anche Berlinguer, come ho ricordato, nella relazione al Congresso di Milano del 1983 (un anno prima di morire), propose ancora la fine del bicameralismo».
Per Macaluso «la campagna di alcuni giornali e anche di alcuni costituzionalisti (politicamente molto targati), che attaccano questa riforma come se la sua attuazione colpisse la democrazia, è un polemica strumentale e un po' grossolana nei confronti di Renzi e del Pd. I problemi della democrazia italiana ci sono, ma sono altri. È la miseria politica che non porta questi problemi veri al centro del dibattito sulla democrazia italiana. Mi riferisco soprattutto al ruolo dei partiti, perché c'è democrazia dove ci sono partiti che vivono una vita democratica. È da considerarsi un fatto negativo che oggi non ci sia un'alternativa credibile al governo di Renzi e del Pd. Ed è un fatto negativo che in questo partito non ci sia una reale e aperta vita democratica, tale per cui al suo interno possa evidenziarsi una minoranza che si progetta però come maggioranza: cioè, una dialettica in cui è possibile proporre una riforma del partito insieme a una linea politica diversa da quella di Renzi. Su questo occorre discutere. E anche io che del Pd non sono cercherò di farlo».
Smuraglia invece si chiede se il Senato non sia solo un altro “trofeo” per il governo renziano. Già nei giorni scorsi aveva sollevato diverse perplessità: «C’è molta soddisfazione, nel governo e nella maggioranza, perché il traguardo si considera raggiunto. Io non so se sia proprio così, e mantengo tutte le riserve e le critiche che abbiamo fatto da due anni a questa parte. Si era parlato della necessità di dare la parola ai cittadini, ma il meccanismo che si è escogitato non è chiaro, tanto che perfino i più favorevoli parlano di una soluzione “simile” all’elezione diretta ed altri si riservano di vedere come saranno sciolti i nodi dalla legge ordinaria. E poi, i sindaci possono considerarsi eletti dai cittadini? Per fare i sindaci, sì, non per fare i senatori. E poi, come faranno a svolgere l’uno e l’altro impegno? E non parliamo delle funzioni, che restano tutt'ora assai limitate e non proporzionate all'esigenza di disporre di un contro-potere».
Dopo il voto di ieri, Smuraglia aggiunge qualche considerazione a quanto già detto e scritto nei giorni scorsi:«1) non è finita, perché il disegno di legge deve tornare alla Camera e forse subire altre letture, di cui le ultime a maggioranza assoluta dei componenti. Sarà interessante vedere se ci sarà questa maggioranza, e come risulterà composta; 2) su un punto importante, c’è stato un rinvio ad una legge ordinaria; vogliamo vederla oppure no? 3) c’è poco da giubilare, comunque, per il “trofeo”. Bisognerebbe farsi venire, piuttosto, un dubbio serio, se non si tratti, non di una modifica ad alcune norme della Carta costituzionale, ma di un vero stravolgimento del modello istituzionale e culturale disegnato dal legislatore costituente. Uno stravolgimento tanto più grave in quanto si unisce ad una legge elettorale anticostituzionale e anti democratica; 4) se qualcuno vuole festeggiare la riduzione di uno spazio di rappresentanza e dunque di democrazia, è libero di farlo, ma forse farebbe bene a meditare su ciò che questo significa in un Paese dotato di una Costituzione profondamente democratica».
Smuraglia ribadisce che comunque è dovere dell’Anpi e di tutte le associazioni progressiste e democratiche «informare e chiarire ai cittadini il significato e i contenuti di questa riforma. Lo faremo con costanza e con fermezza e con tutti gli strumenti di cui disponiamo, se non altro perché è proprio al cittadino che, con ogni probabilità, spetterà l'ultima parola». In attesa del referendum.
