Importare il cibo sta diventando un costo insostenibile per i Paesi più poveri
Il Food Outlook Fao: uno sguardo dettagliato sui trend dei mercati alimentari
[11 Luglio 2018]
Secondo il Food Outlook appena pubblicato dalla Fao, «Le importazioni alimentari rappresentano un peso crescente per i Paesi più poveri del mondo. La fattura delle importazioni mondiali è più che triplicata dal 2000, raggiungendo i 1,43 trilioni di dollari, mentre è quasi quintuplicata per i Paesi più vulnerabili alle crisi alimentari».
L’autore del rapporto, l’economista della Fao Adam Prakash, sottolinea che «Questo dimostra una tendenza che è andata “deteriorandosi nel tempo, preannunciando una sfida crescente, soprattutto per i Paesi più poveri, che cercano di venire incontro ai propri bisogni alimentari di base, attraverso i mercati internazionali» Ma le notizie per i Paesi poveri non sono per niente buone: per quest’anno si prevede che il costo globale delle importazioni alimentari crescerà di circa il 3%, raggiungendo gli 1,47 trilioni di dollari e la Fao evidenzia che «L’aumento annuale è legato in particolar modo alla crescita del commercio internazionale di pesce – alimento di alto valore importato soprattutto da Paesi sviluppati – e del commercio di cereali, commodities base che rappresentano un’importazione essenziale per molti Low-income food deficit countries» (Lifdc – Paesi a basso reddito con deficit alimentare).
Il Food Outlook 2018 analizza questi trend più di lungo termine a questi trend, scoprendo che «I Paesi potrebbero effettivamente “pagare di più per meno cibo”, anche se la produzione globale e le condizioni del commercio sono state piuttosto benigne negli ultimi anni».
L’analisi del rapporto si concentra sia sulle tendenze che sulla composizione – proteine animali, frutta e verdura, cereali, bevande, semi oleosi e caffè, tè e spezie – dei costi nel tempo. delle importazioni alimentari e ne viene fuori che «Dal 2000 le importazioni alimentari sono cresciute al tasso globale medio dell’8% annuo, ma la crescita è rimasta sempre in doppia cifra per la maggioranza dei Paesi più poveri. In “forte contrasto” con questo fenomeno, la quota di cereali rispetto a quella di alimenti di più alto valore nel paniere delle importazioni non è calata nei Paesi più poveri, mentre è calata considerevolmente nei Paesi più ricchi.
I costi per l’importazione di cibo rappresentano ora il 28% degli introiti totali dall’ esportazione di merce per i Paesi meno sviluppati, quasi il doppio rispetto al 2005. I Paesi sviluppati, invece, non solo hanno un maggiore Pil pro capite, ma solitamente spendono solo il 10% degli introiti dall’export per importazioni alimentari».
Ogni semestre, il Food Outlook analizza le tendenze di mercato delle maggiori derrate alimentari mondiali, incluso cereali, carne, pesce, zucchero e oli vegetali e quest’ultima edizione fa notare che «Mentre i mercati alimentari sono rimasti relativamente stabili grazie alla buona disponibilità generale della maggior parte delle categorie, rimangono comunque vulnerabili alla luce dell’aumentare delle dispute in materia commerciale e agli shock climatici e di altro genere».
Nel settore degli oli vegetali, i prezzi internazionali dei semi e delle farine oleose sono in rialzo, mentre quelli degli oli vegetali stanno crollando. La Fao spiega che «Le relazioni commerciali in evoluzione tra Sati Uniti d’America e Cina – rispettivamente il maggior produttore e compratore al mondo – hanno introdotto un’incertezza notevole nel mercato, come evidenziato dal recente tonfo dei prezzi mondiali di semi e farina di soia».
Si prevede che nel 2018/19il commercio dei prodotti cerealicoli resti solido, sostenuto da una domanda forte e continuata alle importazioni di quasi tutti i maggiori cereali.
Invece, nella seconda metà del 2018, i prezzi dei prodotti ittici dovrebbero essere elevati, se non “record”, per ai trend in restringimento dell’offerta.
L’espansione del commercio di prodotti lattiero-caseari, specialmente latte in polvere, e la forte espansione della produzione di carne non sono una buona notizia per la sostenibilità ambientale.
Quest’anno la produzione mondiale di zucchero dovrebbe salire dell’11,1%, raggiungendo il record di 187, 6 milioni di tonnellate, e superando i margini globali di consumo. Ma La Fa conclude facendo notare che «Nonostante la più ampia di disponibilità di zucchero mai registrata nella storia, il valore minimo per i prezzi internazionali dello zucchero sarà probabilmente determinato dall’aumento dei prezzi del petrolio greggio mondiale, dato che più zucchero viene usato per produrre etanolo».