Gli eco-migranti del cambiamento climatico. Aumenta il potenziale di conflitti e violenza
Studio Usa: «Destinare risorse per aiutare gli eco-migranti a trasferirsi in nuove terre e Paesi»
[14 Febbraio 2019]
Le immagini di alluvioni o di comunità devastate dagli incendi boschivi ci aiutano a capire come i cambiamenti climatici stiano facendo aumentare velocemente l’intensità e la gravità dei disastri “naturali”, ma è quel che è più difficile da capire è l’effetto indiretto di questi disastri, o più in generale dei rapidi cambiamenti climatici, sulle società umane e sull’aumento della violenza, dell’aggressività e dei conflitti armati. Ed è proprio su questo che indaga lo studio “Climate Change and Psychology: Effects of Rapid Global Warming on Violence and Aggression” pubblicato su Current Climate Change Reports da Andreas Miles-Novelo e Craig Anderson della Iowa State University.
Sulla base di modelli consolidati di aggressione e violenza, Anderson, un illustre professore di psicologia, e Miles-Novelo, principale autore dello studio, hanno identificato tre modi in cui il cambiamento climatico aumenterà la probabilità di violenza. Secondo Anderson, «La prima via è la più diretta: le temperature più elevate aumentano l’irritabilità e l’ostilità, il che può portare alla violenza. Gli altri due sono più indiretti e derivano dagli effetti dei cambiamenti climatici sulle catastrofi naturali, sui mancati raccolti e sull’instabilità economica». Un disastro naturale, come un uragano o un incendio, non aumenta direttamente la violenza, ma la perdita economica, lo spostamento delle famiglie e la tensione sulle risorse naturali che ne derivano sono ciò che Anderson individua come problematico.
Anderson spiega che «Un modo indiretto in cui i disastri naturali aumentano la violenza è attraverso lo sviluppo di neonati, bambini e adolescenti in adulti soggetti a violenza. Ad esempio, cattive condizioni di vita, famiglie sconvolte e alimentazione prenatale e infantile inadeguata sono fattori di rischio per la creazione di adulti inclini alla violenza». Anderson e Miles-Novelo hanno notato che «Questi fattori di rischio diverranno più prevalenti a causa di disastri indotti dai cambiamenti climatici, come uragani, siccità, inondazioni, scarsità d’acqua e cambiamenti delle pratiche agricole per una produzione efficiente di cibo».
Un altro effetto indiretto è quello che ha già intossicato la politica italiana, facendo schizzare alle stelle l’aggressività sui social media e nelle strade: alcuni disastri naturali sono così estesi e a lungo termine – come la siccità nel Sahara/Sahel – che gruppi numerosi di persone sono costretti a migrare dalla loro terra natia. Anderson sostiene che «Questa “eco-migrazione” crea conflitti intergruppo sulle risorse, che possono provocare violenza politica, guerre civili o guerre tra nazioni. Questo è un problema globale con conseguenze molto gravi: dobbiamo pianificare dei modi per ridurre gli impatti negativi. Un approvvigionamento alimentare inadeguato e disparità economiche rendono difficile la crescita di cittadini sani e produttivi, che è un modo per ridurre la violenza a lungo termine. Dobbiamo inoltre pianificare e destinare risorse per aiutare gli eco-migranti nel loro trasferimento in nuove terre e Paesi».
Secondo Anderson, «Non ci sono dati e non esiste un metodo per stimare quale dei tre fattori sarà più dannoso». Potenzialmente, il legame tra caldo estremo e aggressività ha il potenziale di influenzare il maggior numero di persone, e la ricerca esistente, compresa quella di Anderson, mostra che le regioni più calde hanno un più crimini violenti, povertà e disoccupazione.
Tuttavia, Anderson teme che quello più f distruttivo potrebbe essere il terzo effetto, che lui e Miles-Novelo hanno identificato come eco-migrazione e conflitto, e sottolinea che «Stiamo già assistendo alla migrazione di grandi gruppi in risposta all’instabilità fisica, economica o politica derivante da disastri ecologici. Il conflitto in Siria è un esempio. Le differenze tra i migranti e le persone che vivono nelle aree in cui i migranti si stanno trasferendo possono essere fonte di tensione e violenza. Man mano che il livello di questi conflitti si intensifica, combinato con la disponibilità di armi di distruzione di massa, i risultati potrebbero essere devastanti. Sebbene gli eventi più estremi, come la guerra a tutto campo, siano relativamente improbabili, le conseguenze sono così gravi che non possiamo permetterci di ignorarle. Questo è il motivo per cui gli Stati Uniti e gli altri Paesi devono assicurarsi che questi conflitti regionali e i problemi della migrazione ecologica non sfuggano loro di mano. Un modo per farlo è fornire un aiuto adeguato ai rifugiati e facilitare loro la migrazione verso le regioni dove possono essere produttivi, sani e felici». Che è tutto il contrario delle politiche migratorie e climatiche di Donald Trump, scimmiottate a casa nostra da Matteo Salvini.
Anderson e Miles-Novelo evidenziano che lo scopo della loro ricerca è quello di sensibilizzare la comunità scientifica a lavorare sulla prevenzione o sui modi per limitare le conseguenze dannose. L’obiettivo a lungo termine è quello di educare l’opinione pubblica sul potenziale di aumento della violenza».
Miles-Novelo aggiunge che «Dalle esperienze passate fatte con i disastri naturali, dovremmo essere in grado di prepararci per i problemi futuri mettendo da parte risorse e fondi di emergenza. Dovremmo abbattere stereotipi e pregiudizi negativi su coloro che avranno bisogno di aiuto e aiutare umanamente i rifugiati e gli altri sfollati, facendo tutte queste cose possiamo ridurre il conflitto e l’ostilità».
Anderson conclude: «Cambiare atteggiamenti e politiche sull’immigrazione ridurrà anche il potenziale di conflitto. La reazione contro i rifugiati in molti Paesi europei è indicativa. La visione che i cittadini dei Paesi ricchi hanno spesso dei rifugiati deve cambiare: dal vederli come una minaccia a una visione che enfatizza i valori umanitari e i benefici che i rifugiati portano quando vengono accolti nella comunità».
Ma la ragione e la solidarietà umana sembrano merce sempre più rara in Paesi che richiamandosi alle loro radici cristiane sembra vogliono recidere per non assumersi le responsabilità storiche per gli eco-migranti che fuggono da conflitti causati dalla lotta per le risorse che alimentano la società dei consumi e dello sperpero.