I massacri in Mali e il fallimento delle politiche occidentali nel Sahel
La strage di Sobame, la guerra tra peul e dogon, il petrolio e il gas e i migranti
[11 Giugno 2019]
Il governo del Mali ha informato l’opinione pubblica nazionale e internazionale (che non sembra curarsene più di tanto) che intorno alle 3 di notte del 10 giugno il villaggio di Sobame Da, nel comune di Sangha, nella regione di Mopti è stato attaccato: «Degli uomini armati, sospettati di essere terroristi, hanno lanciato un assalto mortale contro questo villaggio pacifico. Il bilancio provvisorio realizzato dal Poste de Sécurité di Diankabou inviata immediatamente sul posto, alla presenza del sindaco di Sangha, ha riportato 95 morti e 19 dispersi, diversi animali abbatuti e case bruciate. Dei rinforzi sono attualmente dispiegati nell’area e stanno conducendo un’ampia battuta per dare la caccia agli autori. Il governo della Repubblica del Mali offre le sue più sentite condoglianze alle famiglie delle vittime e assicura che tutte le misure saranno prese per fermare e punire gli autori di questa carneficina».
Anche la Mission multidimensionnelle intégrée des Nations Unies pour la stabilisation au Mali (Minusma) ha subito condannato il nuovo massacro di civili e si è detta «Estremamente preoccupata per le informazioni concordanti e corroborate dalle autorità locali che parlano di un attacco mortale» nel villaggio di Sobanou-Kou (altro nome di Sobame Da), a 43 km a nord-est della città di Bandiagara, nel Cercle di Bandiagara.
Mahamat Saleh Annadif, rappresentante speciale del segretario generale dell’Onu in Mali, si è detto «Più che scioccato per questo nuovo attacco nel centro del Mali, Una tragedia che avviene mentre si discute di un rinnovo del mandato. Condanno fortemente questo atto di una barbarie inqualificabile, così come gli appelli alla violenza, Chiedo alle autorità maliane di indagare rapidamente su questa tragedia e di tradurre i suoi autori di fronte alla giustizia. Questo dramma ci ricorda ugualmente e sfortunatamente che in questa spirale di violenza non ci sono i buoni da una parte e i cattivi dall’altra. Sono tutti responsabili. La soglia dell’intollerabilità è stata raggiunta ed è giunto il tempo di una reazione nazionale a tutto questo che si impone».
Le stragi tribali/confessionali che si susseguono in Mali sono il frutto avvelenato dell’intervento occidentale in Libia contro Gheddafi, dell’aver lasciato che jihadisti e tuareg – dichiarando rispettivamente il califfato e l’Azawad libero – occupassero con le armi il nord del Paese e del successivo e fallimentare intervento francese che è sfociato in una missione Onu che non riesce a tenere sotto controllo le milizie di Al Qaeda e dello Stato Islamico/Daesh che si alleano e mescolano con quelle tribali ormai in guerra aperta tra loro per il petrolio, il bestiame, l’acqua e la terra fertile.
Quello attaccato questa volta è un villaggio dogon che, secondo quanto ha detto a Jeune Afrique una fonte delle forze di sicurezza del Mali «E’ stato quasi raso al suolo». Un amministratore locale di Sobame Da ha raccontato: «Abbiamo per il momento 95 civili uccisi, i corpi sono calcinati, continuiamo a cercare dei corpi» e si pensa che molti altri dei 300 abitanti del villaggio siano stati uccisi.
Ma chi è stato? Lo stesso amministratore ha detto a Jeune Afrique: «Secondo i civili, sono degli uomini armati che sono venuti a sparare, saccheggiare e bruciare. E’ veramente una desolazione».
Anche la milizia dogon Dan Na Ambassagou, sciolta dal governo perché ritenuta responsabile di altri massacri di civili peul, «ha constatato con molta indignazione l’attacco barbaro e ignobile (…) condanna con le ultime energie questo atto terrorista e genocida intollerabile».
Domani dovrebbe esserci all’Onu una riunione tra i Paesi che con le loro truppe contribuiscono alla Minusma e il 27 giugno il Consiglio di sicurezza dovrebbe rivedere il mandato della forza missione Onu che il segretario generale Antonio Guterres chiede che non venga ridotta, malgrado la posizione contraria degli Usa.
Ma quel che sta succedendo in Mali e nei Paesi vicini è il tragico fallimento dell’intervento europeo (e anche italiano) che ha puntato soprattutto a fermare nei Paesi del Sahel i migranti che cercano di venire nell’Ue. Addestrare e armare gli eserciti di Paesi debolissimi come il Mali ha finito per rafforzare le milizie islamiste e tribali. Dal 2015, in Mali le violenze etniche si sono estese dal nord al centro del Paese, toccando anche il sud, diventando guerre intercomunitarie.
Il mondo è venuto (distrattamente) a conoscenza di quel che sta succedendo in Mali solo il 23 marzo, dopo il massacro (l’ennesimo) di Ogossagou. Vicino alla frontiera con il Burkina Faso, dive 160 peul sono stati trucidati da cacciatori dogon che probabilmente appartengono alla milizia Dan Na Ambassagou, che si è rifiutata di deporre le armi anche dopo che il governo di Bamako l’ha sciolta.
Ormai, nel Mali centrale gli scontri armati tra i “groupes d’autodéfense” peul e dogon sono diventati normali e si vanno ad aggiungere agli attacchi condotti dai gruppi jihadisti iniziati nel 2012. I dogon accusano I peul di appoggiare le milizie islamiste e di voler distruggere il Mali per sostituirlo con un califfato, i peul accusano Dan Na Ambassagou di attaccare i loro villaggi con la complicità del governo centrale e dell’esercito. Ma dietro le eterne lotte tribali tra agricoltori, cacciatori e pastori ci sono le risorse di petrolio e gas nascoste sotto la sabbia e le oasi del poverissimo Mali, l’uranio del Niger, la lotta per il predominio sul Sahara e il Sahel, la geopolitica impazzita dell’occidente e dei Paesi arabi che temono l’invasione dei poveri dell’Africa nera, che intanto continuano a sfruttare e dissanguare di risorse e speranze.