Emergenza climatica, l’Arabia saudita fa ostruzionismo anche a Bonn e trova alleati in Europa
Monarchie petrolifere, Usa e paesi dell’est Europa: la triade che potrebbe portarci al disastro climatico
[26 Giugno 2019]
Alla Bonn Climate Change Conference (SB50) che si conclude domani in Germania, l’Arabia Saudita ha continuato ad opporsi all’adozione definitiva da parte dell’United Nations framework convention on climate change del rapporto speciale 1,5° C dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) che chiede drastici tagli alle emissioni di carbonio per salvare il mondo da una catastrofe climatica. Ma sui delegati di Bonn è arrivato come una mazzata anche il mancato accordo nell’Unione europea sull’obiettivo emissioni net – zero entro il 2050. A questo si aggiunge la bozza di risoluzione del vertice del G20 che si terrà in Giappone alla fine di questa settimana che, su pressioni di Usa, Australia e Arabia Saudita e dei loro alleati (o dei loro silenti e tremebondi “oppositori”), annulla gli impegni per affrontare il riscaldamento.
Un delegato alla Bonn Climate Change Conference ha detto a Matt McGrath l’inviato ambientale della BBC, che, «Nel loro insieme, queste osse rappresentavano una violenta reazione da parte di Paesi con forti interessi nei combustibili fossili».
Nel dicembre 2018 alla 24esima conferenza delle parti Unfccc di Katowice c’era già stata una forte polemica quando Arabia Saudita, Usa e Kuwait si erano opposti all’accoglimento delle conclusioni del rapporto speciale Ipcc – considerato una pietra miliare nello studio del riscaldamento globale e dei sui effetti odierni e futuri – che dimostra che ci sarebbero enormi vantaggi ambientali, sociali ed economici nel mantenere l’aumento della temperatura globale entro gli 1,5° C rispetto ad un mondo che riscaldi di 2° C o più. Inoltre, il rapporto Ipccc evidenzia che mantenere le temperature al di sotto dell’1,5° C sarebbe ancora possibile, avviando drastici tagli delle emissioni entro il 2030.
Ma, nonostante le conclusioni scientifiche dell’Ipcc siano condivise dalla stragrande maggioranza dei Paesi e dei governi del mondo, le obiezioni dei quattro maggiori produttori di combustibili fossili hanno bloccato tutto. Quello che era stato messo a Katowice è esploso al summit “tecnico” di Bonn, provocando una gigantesca frattura tra le delegazioni.
I sauditi, con una notevole faccia tosta, parlano di «”knowledge gaps» nel rapporto dell’Ipcc che ostacolerebbero la capacità della monarchia assoluta petrolifera prendere decisioni informate a livello nazionale o internazionale.
Carlos Fuller del Belize, il principale negoziatore dell’Alliance of Small Island States, riassume efficacemente cosa sta succedendo in realtà: «Sappiamo che ci sono alcuni Stati intransigenti che stanno tentando di minimizzare la serietà e le azioni richieste, questo è il loro punto di vista. Capisco che devono intraprendere importanti cambiamenti di cui non sono felici».
Le associazioni ambientaliste sono convinte che le pressioni saudite siano la punta dell’iceberg della campagna per screditare la scienza climatica capeggiata dal presidente Usa Donald Trump e i cui “argomenti” riecheggiano anche nelle dichiarazioni del vicepremier e ministro degli interni italiano Matteo Salvini. Jeni Miller, della Global Climate and Health Alliance. Risponde che «Il rapporto dimostra l’importanza di lottare per gli 1.5° C, che sono ancora realizzabili, e c’è un’incredibile urgenza di agire con vigore e rapidità. questo rapporto è stato richiesto dalle Nazioni Unite, da questi stessi Paesi, quindi non accettare le conclusioni del rapporto è un rifiuto della scienza, e se si rifiuta la scienza non c’è una soluzione per affrontare questo problema».
Ma l’incapacità del Consiglio europeo di raggiungere un consenso sulle emissioni net zero entro il 2050 è stato davvero un brutto colpo per i difensori della scienza e del clima. Nonostante 24 paesi Ue – compresa la Germania, convertitasi all’ultimo minuto dopo la vittoria dei Verdi alle elezioni europee – siano a favore del net zero, Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca ed Estonia (alleati di Trump o Putin o di entrambi) hanno costituito un fronte di Paesi sovranisti che ha fatto saltare l’accordo, causando un certo sgomento tall’Onu, dove il segretario generale, António Guterres, contava molto sull’Unione europea per il successo del summit climatico che si terrà a New York a settembre che punta esplicitamente a far sì che i Paesi aumentino i loro obiettivi attuali. Non a caso Guterres ha espresso la sua «preoccupazione personale» per la battuta d’arresto europea e Ulriikka Aarnio, del Climate Action Network conclude: «L’Ue è molto consapevole dell’importanza del summit del Segretario generale, sono consapevoli che bisogna chiedere una revisione degli obiettivi, per l’Unione europea sarebbe imbarazzante andare avanti con quel che hanno ora. Qualcuno ha detto che se le cose restassero così passerebbe da leader a perdente».
Insomma, il destino climatico (e non solo) del mondo è nelle mani di monarchie assolute petrolifere, che propagandano l’islam wahabita retrogrado, antiscientifico e misogino, e di 4 Paesi dell’est Europa governati da governi di destra, che si proclamano sovranisti e difensori della cristianità in Europa e poi prendono ordini da Trump e dicono le stesse cose – sul clima ed altro – delle monarchie islamiche sunnite.