In Italia consumo d’acqua procapite tra i più alti dell’Ue, ma uno dei costi più bassi. E l’efficienza?
L’Energy&strategy group della School of management del Politecnico di Milano propone di introdurre dei Certificati blu, per evitare di »trovarci tra qualche anno a rimpiangere una risorsa che sta divenendo sempre più scarsa»
[22 Novembre 2019]
Secondo gli ultimi dati elaborati dall’Istat l’Italia spreca 4,5 miliardi di metri cubi di acqua potabile l’anno, ma nel nostro Paese in pochi inquadrano il problema nei giusti termini. «Non se ne preoccupa il mondo industriale – dichiara Vittorio Chiesa, direttore dell’Energy&strategy group della School of management del Politecnico di Milano – che confessa un impatto trascurabile, o comunque marginale, del costo dell’acqua sul proprio conto economico. Ma non se ne curano nemmeno i gestori del servizio idrico, ossia coloro che ‘controllano’ l’acqua poi consumata nelle nostre case, perché stretti tra lungaggini burocratiche che rendono infinitamente complesso ogni intervento sulla rete e mancanza di lungimiranza politica». Soprattutto, di fatto non se ne preoccupano i cittadini italiani, che hanno un consumo idrico pro capite tra i più alti dell’Ue ma uno dei costi più bassi, quindi non sono spinti ad azioni concrete di riduzione degli sprechi, come non lo è la politica, molto più impegnata nel dibattito sulla privatizzazione che su quello dell’efficienza idrica.
In realtà – com’è emerso ieri durante la presentazione Water management report 2019 curato dal gruppo di ricercatori guidato da Chiesa – il momento è cruciale per gli attori che compongono il complesso ecosistema dell’acqua nel nostro Paese. Siamo contemporaneamente alla vigilia dell’entrata in vigore del nuovo quadriennio tariffario 2020-2023 (Delibera 34/2019/R/idr del 29 gennaio 2019 di avvio del procedimento) e in Parlamento si sta discutendo la cosiddetta proposta di Legge “Daga” (“Disposizioni in materia di gestione pubblica e partecipativa del ciclo integrale delle acque”, atto Camera 52 del 23 Marzo 2018), che propone di modificare alle fondamenta la struttura del ciclo idrico integrato con prospettive tutt’altro che rosee.
Non a caso secondo la survey lanciata dai ricercatori per indagare la posizione nel merito delle utility idriche, i gestori hanno dato un giudizio decisamente negativo sulla proposta di legge Daga perché non tocca le vere barriere agli investimenti, che a loro parere sono la disorganicità dimensionale dei soggetti gestori (ancora troppo parcellizzati e dunque non in grado di raccogliere, in ottica di investimento di impresa, i capitali necessari), la conseguente difficoltà di accesso ai finanziamenti e il basso valore economico – o così percepito dal cliente finale – della risorsa acqua. Lo scollamento tra le problematiche percepite dagli operatori e quelle su cui intende intervenire il legislatore è evidente e richiama non poca riflessione, a partire dalla realtà mostrata all’interno del Water management report 2019: la situazione del nostro sistema idrico è dunque complessa, ma dove si è investito di più, cioè nel nord Italia, che vede una maggiore dimensione degli operatori inevitabilmente costretti a confrontarsi con logiche di gestione “da impresa”, si ottengono risultati buoni e con prospettive di ulteriore miglioramento.
Una proposta concreta per progredire sulla strada dell’efficienza idrica lungo tutto il Paese, secondo l’ultimo Water management report, potrebbe essere quella di introdurre i Certificati blu sulla falsa riga dei Certificati bianchi, adottati con successo nel settore dell’efficienza energetica, per supportare attraverso meccanismi di incentivazione le necessarie azioni di risparmio, riuso e riutilizzo dell’acqua.
«Un valore del Certificato blu di 3.000 euro (3,00 €/m3) abbasserebbe sotto i 3 anni il tempo di ritorno ed innalzerebbe sopra il 15% l’Irr (tasso interno di rendimento, ndr) in quasi tutti i casi studio analizzati – dettaglia Chiesa – Se poi si arrivasse a 4.000 euro, tutti i casi manterrebbe indicatori economici di investimento vantaggiosi, ma basterebbero valori nell’ordine di 1-1,5 €/m3 per fare entrare nel novero degli interventi economicamente sostenibili quelli di riuso/riutilizzo in ambito industriale. Non va dimenticato però che stiamo parlando di cifre di 3 ordini di grandezza superiori all’attuale costo di acquisto della risorsa idrica per le utenze industriali. Si tratta quindi di numeri importanti, come importanti sono stati gli incentivi per l’efficienza energetica o la generazione distribuita da rinnovabili. Senza una convergenza di intenti e di vedute tra i vari attori dell’ecosistema dell’acqua, senza la disponibilità della politica e senza un cambio culturale che renda comprensibile ai consumatori finali la necessità di investire nel risparmio idrico, stiamo parlando di cifre ‘impossibili’. Eppure è uno sforzo necessario, se non vogliamo trovarci tra qualche anno a rimpiangere una risorsa che sta divenendo sempre più scarsa».