Il 70% della Sicilia a rischio desertificazione, Anbi: «Servono bacini che raccolgano la pioggia»
Ma la rete idrica sull’isola è un colabrodo, perde la metà dell’acqua che trasporta nonostante la penuria. Istat: a livello nazionale lo spreco soddisferebbe le esigenze idriche per un intero anno di circa 40 milioni di persone
[29 Giugno 2020]
A causa della crisi climatica in corso il 20% dell’Italia è ormai a rischio desertificazione, anche se meno del 10% degli italiani – secondo l’ultima rilevazione condotta in materia – se ne preoccupa. Eppure in alcune aree il rischio è già più che conclamato: il caso più drammatico è quello della Sicilia, dove è a rischio desertificazione il 70% del territorio, come sottolinea l’associazione dei Consorzi di bonifica (Anbi) citando dati Cnr. Basta guardare agli ultimi dati per capire perché.
L’andamento pluviale di maggio, riportato dall’Anbi, è esemplificativo: la media regionale è stata pari a 9,88 millimetri, ma si va da mm. 65,6 caduti in località Ziriò di Saponara, nel messinese, a mm.0,1 a Ramacca, comune in provincia di Catania; altri rilevamenti, testimoni dell’estremizzazione atmosferica, sono il comune di Floresta, nel messinese (mm. 43,2) ed il capoluogo Messina (mm. 42,2) contrapposti alla diga don Sturzo sul lago di Ogliastro, in provincia di Enna (mm.0,2) ed al comune di Misilmeri, nel palermitano (mm.0,3).
«Tali dati fortemente diversificati fra aree dell’isola confermano – spiega Francesco Vincenzi, presidente dell’Anbi – la fondamentale importanza di bacini, che raccolgano le acque di pioggia, quando arrivano per utilizzarle nei momenti di bisogno idrico. In Sicilia, purtroppo, la rete di distribuzione irrigua è insufficiente e la capacità degli invasi è fortemente condizionata dagli interrimenti, contro i quali è necessaria una vera e propria campagna di escavi»
Ad aggravare la situazione c’è l’attuale stagione particolarmente siccitosa: nel solo mese di maggio, il deficit idrico nei bacini siciliani si è aggravato di oltre 16 milioni di metri cubi, passando da – 53,8 milioni di metri cubi a -69,9 rispetto al 2019.
Purtroppo però, anche la poca acqua che c’è viene in larghissima parte sprecata. I dati pubblicati dall’Ispra lo scorso anno (e riferiti al 2015) mostrano che in Sicilia la metà esatta (50,0%) dell’acqua potabile viene dispersa prima di arrivare al rubinetto, a causa di una rete idrica colabrodo: un dato – ottenuto come rapporto percentuale tra il volume totale disperso e il volume complessiva-mente immesso nella rete – oltretutto in peggioramento rispetto a quello registrato nel 2012.
Solo Lazio, Sardegna e Basilicata fanno peggio, ma in ogni caso a livello nazionale lo spreco di acqua potabile assume dimensioni enormi. «Le perdite idriche reali di acqua potabile, ottenute come differenza tra le perdite totali e quelle apparenti, sono stimate nel 2015 – dettaglia l’Istat – in 3,2 miliardi di metri cubi, circa 100 mila litri al secondo, pari a 144 litri al giorno per abitante. Tali perdite rappresentano la componente fisica delle perdite dovute a corrosione, giunzioni difettose, deterioramento o rotture delle tubazioni, e corrispondono al volume di acqua che fuoriesce dal sistema distributivo e che si disperde nel sottosuolo. Si tratta di un volume cospicuo che, stimando un consumo pro capite pari alla media nazionale, soddisferebbe le esigenze idriche per un intero anno di circa 40 milioni di persone».
La soluzione, come spiegato da Confservizi nell’ambito degli Stati generali organizzati dal premier Conte, sta nel mettere le aziende di servizio pubblico in condizione di fare gli investimenti necessari per supera4re il cosiddetto “service divide” tra Nord e Sud: con iniziative normative e di investimento per ridurre il gap infrastrutturale e migliorare la qualità dei servizi nell’idrico, nonché per garantire impianti essenziali e chiusura del ciclo per i rifiuti: oggi l’investimento storico annuo nell’idrico è pari a 400 milioni di euro, in 5 anni potrebbe arrivare a 7,5 miliardi di euro nell’idrico e a 2,5 miliardi di euro nel sevizio rifiuti.