Potrebbe già essere troppo tardi per salvare molte specie di vertebrati
ZSL: raggiungere gli obiettivi del 30X30 sarà più difficile di quel che credevamo
[19 Aprile 2023]
Di fronte a quella che sembra essere la sesta estinzione di massa, a dicembre, alla 15esima Conferenza delle parti della Convention on biological diversiti (COP15 Cbd) di Montreal, 188 governi (Italia compresa) hanno approvato il Post-2020 Global Biodiversity Framework che punta ad arrestare il declino della natura entro la fine del e a proteggere il 30% delle terre enerse e degli Oceani e mari entro il 2030 e anche a ridurre della metà dello spreco alimentare globale e a eliminare gradualmente i sussidi che danneggiano la biodiversità.
Ma secondo lo studio “Ongoing over-exploitation and delayed responses to environmental change highlight the urgency for action to promote vertebrate recoveries by 2030”, appena pubblicato su Proceedings of the Royal Society B da Richard Cornford, Louise McRae e Robin Freeman dell’Institute of Zoology della Zoological Society of London (ZSL), Fiona Spooner di Our World in Data e Andy Purvis del Natural History Museum London, gli effetti del cambiamento climatico e della perdita di habitat sulle popolazioni animali sono stati sottovalutati e che ripristinare la fauna selvatica potrebbe richiedere più tempo del previsto, mentre, a meno che non agiamo ora efficacemente, rapidamente e con protezioni reali, gli obiettivi globali per la biodiversità saranno irraggiungibili.
Intervistato da BBC News, Freeman ha sottolineato che «Quel che questa analisi sta evidenziando è che [raggiungere gli obiettivi] è ancora più difficile di quanto pensiamo. Dobbiamo agire più urgentemente e più rapidamente e affrontare più cose per raggiungerli».
Il team di scienziati ricorda nello studio che «Per salvaguardare la natura, dobbiamo comprendere le cause della perdita di biodiversità. Le risposte della biodiversità ritardate ai cambiamenti ambientali (ritardi ecologici) sono spesso assenti dai modelli di cambiamento della biodiversità, nonostante la loro ben documentata esistenza». Lo studio quantifica in che modo le risposte ritardate al cambiamento climatico e dell’uso del suolo hanno influenzato le popolazioni di mammiferi e uccelli in tutto il mondo, tenendo conto degli effetti dello sfruttamento diretto e degli interventi di conservazione.
I ricercatori spiegano che «La durata del ritardo ecologico varia tra drivers, classi di vertebrati e gruppi di dimensioni corporee, ad esempio i ritardi legati agli impatti dei cambiamenti climatici sono di 13 anni per i piccoli uccelli, fino a 40 anni per le specie più grandi. Per prevedere il declino della popolazione, generalmente si combinano il riscaldamento del passato e la conversione del suolo; tuttavia, tali condizioni sono associate all’aumento della popolazione per i piccoli mammiferi. Effetti positivi della gestione (> +4% annuo per i grandi mammiferi) e le aree protette ( > +6% annuo per i grandi uccelli) sull’andamento della popolazione contrastano con l’impatto negativo dello sfruttamento ( < −7% annuo per gli uccelli), evidenziando la necessità di promuovere un uso sostenibile».
Le proiezioni del modello realizzato dai ricercatori «Suggeriscono un futuro con vincitori (ad es. uccelli di grandi dimensioni) e vinti (ad es. uccelli di taglia media), con cambiamenti ambientali attuali/recenti che influenzeranno sostanzialmente i trend dell’abbondanza fino al 2050. Senza un’azione urgente, inclusi interventi di conservazione efficaci e promozione di un uso sostenibile, gli obiettivi ambiziosi fermare il declino entro il 2030 potrebbe già essere fuori portata».
Gli scienziati hanno scoperto che il precedente lavoro di modellazione aveva in gran parte ignorato i ritardi di decenni prima che si verificassero gli effetti di fattori come il cambiamento climatico e la perdita di habitat. Questo significa che potremmo esserci già spinti più avanti di quanto pensassimo verso la perdita di biodiversità.
Freeman conferma: «Abbiamo visto effetti ritardati fino a 40 anni per grandi mammiferi e uccelli. E questo significa che più a lungo aspettiamo per agire, più tempo ci vorrà per vedere qualsiasi tipo di risposta».
Lo studio evidenzia che «Arrestare e invertire il declino della biodiversità – “piegare la curva” – richiede un’azione globale e concertata» e suggerisce che un’azione immediata per fermare la caccia insostenibile e l’eccessivo sfruttamento delle risorse naturali avrà benefici immediati e di vasta portata.
Maxse lo studio avverte anche che «Lo sfruttamento diretto è un altro motore sostanziale della perdita di biodiversità», ricorda che «L’utilizzo diretto della fauna selvatica è alla base dei mezzi di sussistenza di molte persone in tutto il mond. Garantire la sostenibilità di tale uso è quindi fondamentale sia per le persone che per la natura. Le aree protette (AP) sono un importante intervento di conservazione, che aiuta il mantenimento e il recupero delle popolazioni di fauna selvatica riducendo l’esposizione a molteplici minacce, tra cui il LUC (Il cambiamento dell’uso del suolo, ndr). Nonostante ciò, la copertura dell’AP rimane bassa (circa il 17% dell’area terrestre globale, le specie minacciate sono scarsamente rappresentate e una cattiva gestione può limitare il successo della conservazione. Allo stesso tempo, le AP possono limitare l’accesso delle popolazioni locali a risorse naturali vitali. Anche se il 30% del territorio sarà protetto entro il 2030, saranno necessari ulteriori interventi di mitigazione dello sfruttamento per salvaguardare adeguatamente la biodiversità e il contributo della natura alle persone».
I ricercatori britannici concludono: «E’ ampiamente riconosciuto che il tempo è breve per le azioni integrate e ambiziose necessarie per arrestare la perdita di biodiversità entro il 2050. Questo lavoro dimostra che il tempo è ancora più breve di quanto si pensasse. Oltre ai possibili intervalli di tempo tra la decisione politica e l’azione pratica, la nostra analisi suggerisce intervalli di tempo anche tra l’azione immediata e i suoi effetti sulle popolazioni di vertebrati. I trend dell’abbondanza fino al 2050 potrebbero già essere in gran parte “bloccati” a causa della loro dipendenza dal LUC e dal riscaldamento climatico che si è già verificato. Mentre si prevede che alcune popolazioni aumenteranno, molte non lo faranno. Obiettivi ambiziosi per promuovere il recupero della biodiversità entro il 2030 potrebbe già scivolare fuori portata».