Siccità, è stato d’emergenza in Lazio e Umbria. A quando gli investimenti in prevenzione?
Dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile una mappatura delle risorse a disposizione (e di quelle che mancano) per ammodernare gli acquedotti italiani
[8 Agosto 2017]
Su proposta del premier Paolo Gentiloni, ieri il Consiglio dei ministri ha deliberato la dichiarazione dello stato di emergenza in Lazio e Umbria, in modo da «consentire alla Protezione Civile di fronteggiare con mezzi e poteri straordinari l’emergenza che si è determinata a seguito della crisi di approvvigionamento idrico in atto».
Si tratta di un atto utile a fronteggiare nei territori interessati la “emergenza” siccità – se così si possono chiamare criticità che tornano, sebbene a intensità variabile, periodicamente e con sempre maggior frequenza – che ancora non accenna a calare. Prima o poi, però, la pioggia tornerà. La crisi idrica sarà allora solo un lontano ricordo, di cui occuparsi all’arrivo della prossima estate? Al di fuori di periodi di “emergenza”, sono molti gli investimenti da poter e dover realizzare sul territorio, in grado di portare posti di lavoro e resilienza. A partire da un ammodernamento dei nostri ormai vetusti e inadeguati acquedotti, dato che «nel 2015 è andato disperso il 38,2% dell’acqua potabile immessa nelle reti di distribuzione», addirittura peggiorando la performance del 2012, quando «era il 35,6%», come ricorda il presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile Edo Ronchi.
Considerando inoltre che «il 22% delle condotte ha più di 50 anni e un altro 36% ne ha fra 31 e 50», quali sono le risorse a disposizione per investire in ammodernamenti? All’interno del fabbisogno finanziario pianificato del comparto idrico dal 2016 al 2019, stimato in 12,7 miliardi di euro, il 19% – circa 600 milioni di euro – è «destinato alla distribuzione», mentre «il 25% alle fognature e il 28% alla depurazione».
Un importo che Ronchi giudica insufficiente, e dunque da incrementare viste le continue emergenze relative all’approvvigionamento idrico che il Paese vive da anni. Dove trovare le risorse? Da una parte, si tratta di mettere in campo interventi che «dovrebbero essere compresi nel programma operativo di misure di adattamento al cambiamento climatico», contando anche che «l’entità complessiva (fondi nazionali, risorse Ue, delle Regioni e dei Comuni) dei finanziamenti pubblici effettivamente stanziati e già disponibili per i servizi idrici per il periodo 2016 al 2019 sarebbe di soli 2,2 miliardi di euro (Rapporto annuale citato, 2017): il 17,3% del fabbisogno, troppo poco».
Dall’altra, ci sono le tariffe pagate dai cittadini. Una parte dei costi per gli interventi straordinari di adeguamento degli acquedotti «è già reperibile nella tariffa per i servizio idrico», in quanto nell’ultimo anno «dei 290,9 euro all’anno pagati in media da una famiglia per l’acqua» erano 114,4 quelli dedicati agli «acquedotti (captazione, adduzione e distribuzione), 37,5 per le fognature, 84,5 per la depurazione, il resto per quota fissa e Iva». Ancora non bastano? È possibile aumentare le tariffe, che sebbene siano cresciute del 4,57% nel 2016 rimangono ancora “le più basse d’Europa”, garantendo al contempo con fasce tariffarie basse per i meno abbienti l’accesso a «un bene pubblico indispensabile».