[21/09/2009] News

Quando la chimica รจ al servizio della green economy

GROSSETO. La chimica ha sofferto e soffre della crisi come gli altri comparti dell'economia manifatturiera, ma poiché parlare del comparto della chimica industriale significa una variegata compagine di tipologie aziendali (dalle multinazionali alle piccole imprese) e una altrettanto composita natura di materiali prodotti, le conseguenze della crisi non hanno agito alla stessa maniera in tutto il comparto e in modo analogo diversi sono i segnali di ripresa.

Si nota ad esempio che a subire effetti più pesanti è tutto il settore della chimica di base legato alla trasformazione dei prodotti petroliferi, in cui la vicenda della Vynils di Porto Marghera (ancora non chiusa) ne è l'emblema ma non un caso isolato. Mentre è andata meglio per l'area dei prodotti finiti, dove si trovano molte aziende che hanno speso in innovazione sia di prodotto che di processo e che possono giocare la sfida della chimica oltre il petrolio.

La chimica è per definizione la scienza della trasformazione delle sostanze e la storia del rapporto fra questa scienza e l'industria dimostra che è possibile ottenere una vasta gamma di prodotti a partire da una certa base di materie prime. Ma dimostra anche che è possibile giungere agli stessi prodotti utilizzando differenti materie prime. L'insegnamento dovrebbe allora essere quello che in una situazione di costi altalenanti del prezzo del petrolio, di una crisi economica che intreccia in maniera sempre più forte quella ecologica, è necessario operare delle scelte sulla tipologia del processo industriale da seguire per ottenere un determinato prodotto;  che dovrebbero essere basate sulla base di tre fattori, ovvero quello economico, quello ambientale e quello della sicurezza in termini di salute dei lavoratori e dei consumatori finali. Che è poi l'approccio che sta alla base della nuova regolamentazione sulla registrazione delle sostanze chimiche  a livello europeo, ovvero il Reach e che dovrebbe indirizzare verso una innovazione tecnologica volta ad ottenere prodotti con analoghe caratteristiche in termini di usi finali ma assai diverse come origine e processi di produzione.

L'innovazione quindi paga e lo ammette lo stesso presidente di Federchimica Giorgio Squinzi quando riferendosi al comparto (per lo più caratterizzato da piccole e medie aziende) che hanno saputo scegliere sul futuro e che adesso possono vantare un attivo di quasi due miliardi di euro, le definisce «eccellenze della chimica italiana, che dagli anni 90 (quando cioè è divenuta evidente la crisi del comparto delle chimica ndr) hanno aumentato le quote esportate  più di altri settori proprio grazie al contenuto tecnologico delle produzioni e alla capacità di innovare i prodotti».

Innovazione che, molto spesso, in queste aziende è stata orientata verso processi e prodotti a maggiore sostenibilità che ha comportato - e potrebbe comportare se maggiormente attuato- anche un positivo effetto domino su altri settori economici. Per il fatto che l'industria chimica può fornire ad altri settori produttivi, o al consumatore finale, prodotti che sono  diversi per la loro origine ma capaci però di svolgere lo stesso ruolo chimico: è il caso di tantissime sostanze che vanno dai solventi alle vernici, dalle fibre ai combustibili, dai coloranti ai detersivi, dai polimeri ai medicinali, in cui la chimica nata dal petrolio va sempre più trasformandosi in una chimica che utilizza come materie prime quelle rinnovabili provenienti dal settore agricolo e spesso dagli scarti che questo produce.

E' già, questo,  un pezzo di green economy che si è realizzata prima ancora che il termine divenisse al centro del dibattito internazionale, grazie alle politiche messe in piedi da Barak Obama, per poi essere altrettanto velocemente allontanato dal dibattito.

Si chiama Novamont, che dopo il recupero della raffineria di Terni e la sua trasformazione in un centro in cui si produce materBi e si fa ricerca sui nuovi materiali a partire da materie prime  rinnovabili adesso un percorso analogo lo farà con una azienda chimica chiusa in provincia di Caserta.

Si chiama Guna, l'azienda che produce medicinali omeopatici e che mette a disposizione ogni innovazione ottenuta nei propri centri di ricerca senza apporre alcun brevetto, «perché impedisce l'ingresso di nuovi operatori e non stimola l'innovazione» Alessandro Pizzoccaro, che dell'azienda è l'amministratore delegato. Avendo ben capito che in un mercato così piccolo e così osteggiato come quello che in cui opera la sua azienda, non conviene farsi concorrenza ma anzi fare sponda per essere più forti.

Ma sono tante alte le aziende che nel vasto comparto delle chimica hanno contribuito a quelle eccellenze cui Squinzi si riferiva e che andrebbero queste sì sostenute con incentivi economici e non solo con la semplificazione normativa che il presidente di Federchimica ha richiamato come essenziale quando è  intervenuto, qualche giorno fa, ad una audizione alla commissione Attività Produttive della Camera nell'ambito di un'indagine conoscitiva che il Parlamento sta svolgendo sulla situazione attuale e sulle prospettive del sistema industriale italiano in relazione alla crisi dell'economia internazionale.

La chimica può quindi essere una chiave importante per rispondere alle sfide del futuro per l'energia, l'ambiente, l'economia ma è essenziale che venga indirizzata nella maniera giusta e questa non può essere che quella della sostenibilità ambientale.

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