[22/09/2009] News
LIVORNO. Apocalisse, Armageddon, inizio di una nuova era dopo il buio. Le profezie sulla fine del mondo si concentrano su una data, il 21 dicembre del 2012, che sarà naturalmente un venerdì. C'è già chi si prepara all'appuntamento; per attendere questo evento sono nati e nasceranno associazioni, gruppi d'attesa, verranno realizzati rifugi sicuri (da cosa?), ci sarà purtroppo anche tragicamente chi non resisterà e si toglierà la vita prima che quella data arrivi.
La fine del mondo attesa secondo varie profezie e scritta nel calendario dei Maja, appunto in quella fatidica data, fa tanta presa sull'opinione pubblica che ieri sera è stato anche il tema della prima puntata della ripresa autunnale del programma Vojager, e che già a questo argomento ha dedicato diverse trasmissioni.
Storia e leggende abbinate a interviste ad astronomi e scienziati vari che esprimono il loro parere su quanto potrà avvenire in base alle profezie: tempeste solari? Inversione dei poli magnetici? Arrivo di una nuova popolazione di extraterrestri anticipati da un asteroide?
Tanta preoccupazione sulla base di una profezia che sarebbe stata scritta su un calendario all'epoca della civiltà precolombiana, quando invece non ci sarebbe bisogno di profezie tanto lontane per capire che è arrivato il tempo di muoverci se vogliamo evitare che i cambiamenti climatici, conseguenza delle emissioni climalteranti del mondo industrializzato. portino davvero ad una trasformazione delle condizioni attuali del pianeta da impedire o rendere assai difficile la vita a chi lo abita e neppure in epoca tanto remota .
«Il clima sta cambiando più velocemente di quanto si prevedesse anche solo due anni fa . Continuare a comportarci come se niente fosse equivale a rendere inevitabile una trasformazione pericolosa, forse catastrofica del clima nel corso di questo secolo». Non sono parole tratte da qualche misterioso documento medioevale ma quelle che ha scritto il neo rieletto presidente della Commissione europea, Josè Manuel Barrosos, ai leader del mondo che oggi si incontrano in sede Onu, per continuare a portare avanti i negoziati così da raggiungere un accordo a dicembre a Copenhagen.
Mancano 80 giorni a quel vertice ha ricordato Barroso e il testo dell'accordo provvisorio scritto nella riunione di Bonn è ancora troppo lontano dall'obiettivo: «Una pletora di opzioni alternative, una foresta di parentesi quadre».
L'avvertimento di Barroso è allora forte al pari di una profezia: «Se non lo miglioriamo, questo documento rischia di diventare la più lunga e la più globale lettera di suicidio della storia».
Altro che Nostradamus o il calendario Maja. Eppure nell'immaginario collettivo fa più paura l'idea dell'avverarsi di una profezia che non il fatto che gli effetti dei cambiamenti climatici, che sono già tangibili, porteranno a condizioni impossibili per la vista sociale sul pianeta: basterebbe vedere quanto avviene già oggi in popolazioni raggiungibili nello stesso tempo impiegato con un aereo per recarsi in qualche luogo esotico di vacanza.
E se magari in televisione si vedessero queste cose e si spiegasse cosa significa in termini concreti l'accordo di Copenhagen (dal momento che gran parte delle persone forse nemmeno sa che ci sarà il prossimo dicembre, nella capitale della Danimarca, un vertice di importanza fondamentale per il futuro) forse ci sarebbe maggiore interesse da parte della popolazione e maggiore propensione a cominciare ad intervenire anche sul proprio stile di vita.
Intervenire sul riscaldamento del pianeta «è la sfida più importante per l'attuale generazione di politici» dice Barroso. In effetti i politici del pianeta dovranno decidere a Copenhagen quale ipoteca mettere sul futuro del pianeta e dovranno scegliere i tassi d'interesse che noi tutti dovremmo pagare per scioglierla. Si tratta di stabilire se il tasso di sconto che verrà deciso vorrà tenere conto più dell'oggi che del futuro o il contrario. Ovvero quanto saremo disposti a impegnarci oggi per garantire un pianeta alle future generazioni e per evitare che si trovino a dover gestire una eredità troppo pesante sia in termini ambientali che sociali.
E questa non è una profezia ma scenari condotti da un nutrito gruppo di studiosi, chiamati a far parte dell'Ipcc, sulla base dei quali i politici del pianeta sono chiamati a decidere cosa fare.
Una cosa che non dovrebbe esserci tanto indifferente.