[24/09/2009] News
LIVORNO. Il tribunale di primo grado delle Comunità europee ha dato ragione alla Polonia ed Estonia che avevano fatto ricorso verso la Commissione di Bruxelles rispetto alle quote di emissione che aveva loro assegnato, in quanto non spetta alla Commissione europea stabilire il massimo di quote di emissione di gas a effetto serra da assegnare agli operatori dei singoli stati, perché non ne ha le competenze (vedi greenreport del 23 settembre).
Una sentenza che potrebbe aprire un contenzioso anche con altri paesi, Italia in prima fila.
Già la scorsa settimana il premier Silvio Berlusconi aveva scritto una lettera al presidente della Commissione Ue per lamentare i costi che il piano assegnato all'Italia avrebbe sul sistema delle imprese e sui cittadini, annunciando l'apertura di un negoziato con il commissario all'ambiente Stavros Dimas.
La questione era emersa ad agosto con i dati della relazione del Comitato nazionale per la gestione della direttiva Ets, da parte del sole 24ore. Secondo quella relazione sarebbero stati necessari 550 milioni di euro entro il 2009 ( che sarebbero potuti diventare 840 al 2012) per acquistare sul mercato delle emissioni i permessi per la Co2 emessa -sforando i limiti europei -dalle industrie italiane: 37 milioni di tonnellate per il 2009 che potrebbero salire a 56milioni nel 2012.
Le emissioni - è bene specificarlo-riguardano le aziende che hanno avviato la produzione dopo l'assegnazione delle quote negoziate con l'Europa dal ministro dell'ambiente Pecoraio Scanio, in carica all'epoca della stesura del Piano nazionale per le emissioni (Pna) 2008-2012. Una negoziazione considerata troppo stringente e che ora penalizzerebbe le nostre industrie.
Il Pna 2008-2012 prevede una quota di permessi da riservare ai nuovi impianti di 16,63 Mton sul totale di 201,63 Mton approvate dalla Commissione. Il fatto è che però le aziende entrate in funzione dopo, secondo le previsioni, dal 2008 emetteranno più emissioni di quanto consentito, ovvero 70 anziché 14, quindi 56 più del previsto.
Di conseguenza, se i permessi alle emissioni per la quota sforante non verranno comperati entro il prossimo 30 aprile ci sarà da pagare una multa di 5,6 miliardi di euro (100 euro per ogni tonnellata in più) o in alternativa andare al fermo degli impianti che hanno sforato.
Una multa che in questo caso non ricadrà sul sistema industriale che aveva impianti già in funzione (che devono pagare di tasca loro le multe) ma che trattandosi di impianti entrati in funzione dopo dovrà essere pagata dal sistema pubblico, ovvero dai cittadini.
Una confusione sulle responsabilità dello sforamento delle quote e su chi ne dovrà pagare le conseguenze che pare emergere anche dalla lettera inviata dal premier Berlusconi al presidente Barroso, a quanto riportato in merito dal Sole24 ore, quando dice che «il sistema industriale - che spicca per performance ed efficienza - potrebbe trovarsi a sostenere un onere eccessivo senza dare alcun vantaggio ambientale».
Evidentemente si è consentita l'autorizzazione ad impianti di nuova produzione quando già si sapeva che avrebbero sforato sulla quota di emissioni e che quindi il pubblico si sarebbe dovuto accollare le spese per l'acquisto delle quote sul mercato dei crediti di carbonio. E lo si è fatto senza considerare l'efficienza di questi impianti in termini di emissione di Co2.
Ora, a parte il fatto che sembra un po' tardi per fare recriminazioni, dato che come sostiene la portavoce della Commisione Ue, Barbara Hellfrich, interpellata a proposito di una lettera del premier Silvio Berlusconi al presidente dell'esecutivo europeo Barroso, «i tetti sono stati definiti e adottati dalla commissione attraverso un processo basato sulla legislazione europea e non sono rinegoziabili». Va aggiunto anche che l'Italia fa un po' sorridere, per non dire di peggio, dato che nello stesso momento in cui scrive all'Ue quella lettera la Prestigiacomo va a New York a dire che bisogna tagliare la CO2 del 25 - 40% e Berlusconi - che giusto ieri ha detto di condividere in pieno il pensiero di Obama e che avrebbe detto Gquello che voleva dire lui» - va all'Onu ad illustrare la posizione del G8 che chiede di tagliare l'80%...
Appare assolutamente fuori luogo che mentre si discute a New York per trovare la via di un accordo per il vertice che si terrà a dicembre a Copenhagen e mentre le dichiarazioni di tutti i capi di stato e di governo sono concordi sulla necessità di intervenire subito per evitare una catastrofe, dal nostro governo arrivino segnali di freno nei confronti addirittura di quanto prevede il protocollo di Kyoto, che appunto a Copenhagen dovrà essere riscritto per il dopo 2012 in maniera più stringente.
Quando da uno studio sulle conseguenze per la competitività dall'applicazione dei limiti di emissione a livello europeo sulle industrie coinvolte emerge che non si è rilevato alcun danno e anzi si è ottenuto- semmai- qualche beneficio sia per la maggiore efficienza raggiunta sia per il fatto che in un mercato globale- come quello che si prospetta- in cui le emissioni di Co2 hanno un prezzo le industrie che già sono sottoposte a limiti alle emissioni sarebbero avvantaggiate .
Lo studio, The Effects of EU Climate Legislation on Business Competitiveness, è stato pubblicato da The Climate Group e commissionato dal German Marshall Fund degli Stati Uniti, interessati a capire su quali conseguenze avesse per l'industria l'applicazione della direttiva Ets.
Ebbene le conseguenze paiono essere del tutto positive.
Grazia Francescato, Portavoce nazionale dei Verdi ed esponente di Sinistra e Libertà interviene sul tema: «E' una vergogna che Berlusconi cerchi di franare l'Unione europea nella lotta ai cambiamenti climatici. Invece di tentare sottobanco di rivedere i tetti di emissione, il governo italiano dovrebbe finalmente dotarsi di uno ‘straccio di strategia' per lo storico incontro di Copenaghen, strategia che ancora non è stata nemmeno abbozzata e che, come al solito ci vede ultimi ed isolati in Europa. Proprio quando dal summit di New York l'emergenza climatica balza in cima all'agenda mondiale, grazie alle parole di Obama e di Ban Ki Moon, il Presidente del Consiglio italiano, nemmeno presente al vertice sul clima, chiede irresponsabilmente al presidente della Commissione Ue Barroso di ridurre i tetti di emissione di Co2».
"Mentre, ormai da più parti, si chiede con insistenza di ridurre l'utilizzo del carbone, di promuovere le energie rinnovabili e efficienza energetica e di incentivare una mobilità veramente sostenibile, il governo recita il ruolo della bella addormentata, senza nemmeno un provvedimento concreto - ha concluso la Francescato -. Si tratta di una politica miope e dannosa che, oltre a lasciarci ultimi rispetto alla promozione ed alla ricerca dell'energia del futuro, rischia di far perdere al nostro Paese il treno della ‘green economy' che sarà il principale asset economico di un futuro ormai sempre più vicino".