[28/09/2009] News toscana

La riconversione ecologica dell'economia e il topolino della Toscana

FIRENZE. Come annunciato da Martini, la scorsa settimana si è tenuto l'incontro Regione - Confindustria per tentare di far fronte alla crisi economica e dell'occupazione. Rispetto alla voragine delle necessità e delle urgenze hanno partorito un topolino: gli uni, gli industriali, chiedendo cose su cui le istituzioni locali non possono fare molto (accesso al credito e liquidità delle aziende) o i soliti lavori pubblici (un po' di mattone e cemento), gli altri, la Regione, offrendo ciò su cui poco possono (il miglioramento dell'accesso al credito: già agito in passato ma che ha prodotto poco), le solite "piccole e grandi opere pubbliche ed edilizia sostenibile (!?)" oppure "energie rinnovabili e trattamento dei rifiuti speciali che potrebbero diventare  [il condizionale è assolutamente condivisibile anche perché su queste materie gli industriali toscani, fanno orecchi da mercante, così come finora hanno fatto almeno in parte anche le istituzioni, ndr] opportunità per un nuovo sviluppo".

Del resto a pochi mesi dalla fine della legislatura ciò che potrebbe fare la differenza, un grande piano di riconversione ecologica dell'economia, dei trasporti e di riqualificazione e rilancio di un welfare solidale sorretto da un patto sociale e generazionale tra i cittadini Toscani, non è proprio nell'agenda delle istituzioni locali, della politica, né delle rappresentanze sociali.

Né le attuali condizioni favoriscono un processo di tale ricomposizione e coesione sociale a cominciare dal mercato del lavoro e dalla struttura stessa del lavoro, dalla percezione individualista, dominante, del lavoro che hanno gli stessi lavoratori e la società toscana nel suo complesso.

Le trasformazione in questi ultimi 5-6 anni sono state profonde: concorrenza di prezzo del lavoro, nuove tecnologie, rendono impraticabili politiche di piena occupazione di tipo tradizionale e gettano nell'instabilità la divisione sociale del lavoro. Molti lavori sono  scomparsi e gli altri sono meno sicuri.

Il "precariato" si è diffuso a macchia d'olio slegato da istituzioni o aziende particolari.

Per la parte più giovane della popolazione le tradizionali istituzioni "borghesi" come la carriera e la vocazione professionale non esistono più.

C'è anche uno svuotamento dell'economia aziendale come istituzione sociale: i costi sociali del lavoro si scaricano sugli individui trasferendo su di loro la responsabilità della spesa delle pensioni, della maternità, ecc. Le donne presenti sul mondo del lavoro calano. E se ancora agli inizi del nuovo secolo potevamo parlare per la Toscana dell'esistenza di un "aggregato" sociale (composto da lavoro dipendente ma anche autonomo) fatto di lavoro ad alta specializzazione, tecnici e intermedi, artigiani, operai specializzati e conduttori di macchine utensili, ricercatori e insegnanti che nel 2002 superava le 850.000 persone (ed era cresciuto rispetto al 1999[1]), oggi difficilmente è ancora possibile considerarlo, a meno di un capovolgimento nelle agende della politica, delle istituzioni e delle rappresentanze sociali (ma chi avrà il coraggio di spendersi e rischiare con le lezioni regionali alle porte?), come il cuore di una riqualificazione sociale e produttiva della Toscana capace di portare la conoscenza al centro di uno sviluppo locale sostenibile.

Chi lo farà?

 


[1] Nostra elaborazione su dati Irpet, Istat e Censis

                                             

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