
[30/09/2009] News
LIVORNO. La sostenibilità non è una scienza esatta e si nutre e si trasforma di, e attraverso, ogni nuova analisi. Anche quelle che rimettono tutto in discussione e che magari, apparentemente, con l'economia ecologica sembrano avere poco a che fare. E pure quelle che appaiono come evocazioni di temi già discussi per di più da studiosi ed economisti di chiara fama con i quali ci vuole del coraggio a confrontarsi.
Ma l'introduzione di Zygmunt Bauman al suo nuovo libro - "Capitalismo parassitario" - di cui dà contezza oggi Repubblica colpisce anche chi in radice la pensa esattamente come il sociologo polacco. Quando infatti afferma che "il capitalismo (...) è in sostanza un sistema parassitario» non ci sconvolge di certo, ma quando pone la questione del futuro post crisi, ovvero che «l'attuale stretta creditizia non è il segnale della fine del capitalismo, solo dell'esaurimento di un altro pascolo...» e che «la ricerca di un nuovo pascolo partirà quanto prima, alimentata, proprio come in passato, dallo Stato capitalistico attraverso la mobilitazione forzata di risorse pubbliche», rischia di travolgere anche la green economy, almeno a livello di approccio.
Questa infatti non può che passare da una "mobilitazione forzata di risorse pubbliche" sotto forma di incentivi mirati e il rischio vero è che il capitalismo consideri la green economy solo come un pascolo.
La forza del capitalismo, spiega sempre Bauman: "sta nella straordinaria ingegnosità con la quale esso cerca e scopre specie ospitanti nuove ogni volta che le specie sfruttate in precedenza diminuiscono di numero o si estinguono".
"La grande domanda - sostiene sempre Bauman - è quando si esaurirà l'elenco delle terre assoggettabili a «verginizzazione secondaria», e quando le esplorazioni, per quanto frenetiche e ingegnose, non garantiranno più un sollievo temporaneo. Non saranno - conclude - quasi certamente i mercati, dominati come sono dalla «mentalità del cacciatore» liquido-moderno che ha preso il posto dei due approcci precedenti quello premodemo del guardia-caccia e quello solido-moderno del giardiniere a porre questa domanda, loro che vivono passando da una battuta di caccia fortunata all'altra, fintanto che riescono a scovare un'altra occasione per rimandare il momento della verità, non importa se per breve tempo e non importa a quale costo".
Siamo dunque nel pieno della discussione sul problema della deriva del capitalismo verso il mercatismo e della richiamata da tutti necessità di una minor finanziarizzazione dell'economia attraverso regole che però si fa una gran fatica a concordare per non parlare poi delle vie per la loro eventuale applicazione e rispetto. Ma è qui che bisogna insistere se si vuole cambiare il paradigma economico, ricordando che, come dice in un'intervista al portale Economia di comunione il professore di Economia politica all'Università di Milano - Bicocca e membro del comitato etico di Banca Etica, Luigino Bruni, "l'economia di mercato non coincide con il capitalismo: quella nasce ben prima, ha conosciuto varie forme non-capitalistiche che hanno convissuto con il capitalismo (si pensi al movimento cooperativo), e certamente gli sopravviverà. Se oggi vogliamo salvare l'economia di mercato (grande eredità dell'umanesimo cristiano medioevale e moderno) dobbiamo tornare a criticare il modello di capitalismo finanziario che abbiamo realizzato soprattutto in questi ultimi venti-trenta anni. Il mercato e la finanza sono luoghi di civiltà solo se sottoposti ad una sistematica critica civile e culturale».
E dunque è il modello economico generato dalle società capitalistiche che non trova la risposta alla crisi ecologica in corso e se la green economy viene vista come un driver per uscire dalla crisi finanziaria grazie alla spinta che essa può dare all'economia reale, significa non voler assolutamente 'guarire' dalla 'malattia del capitalismo'. Cosa peraltro dimostrata dai fatti.
La sostenibilità ambientale e sociale impone invece un'economia che oggi siamo costretti a chiamare ecologica, ma che domani sarà o tornerà ad essere solo economia. Questa è la cultura che serve al pianeta per sopravvivere, una cultura che faccia massa critica e contrasti ancora il capitalismo parassita.
Una cultura che emancipi a tal punto la società di domani da far sì che non ci siamo più "classi" quali quelle degli ambientalisti da avversare a quella dei negazionisti oppure la necessità di avere ministeri e assessorati all'ambiente, perché ogni decisione sarà presa sulla base di una contabilità ambientale ed economica, perché la tutela del paesaggio e del territorio sarà prassi, perché ogni scelta dell'homo sapiens sostenibile sarà fatta ex ante secondo i criteri direttori della sostenibilità e non ex post, ovvero a danno fatto.
Tornando però a questa difficilissima fase transitoria è chiaro che il modello economico, come dicevamo, generato da quel capitalismo, non può funzionare se non con regole nuove che portino più Stato nelle scelte economiche ovvero che riorientino il mercato verso l'ecologia. I tecnicismi non ci salveranno e purtroppo neppure i magnifici discorsi di Obama se non saprà declinarli attraverso regole certe, cogenti ed efficaci. I pascoli, insomma, stanno per finire e bisogna agire in fretta.