[06/10/2009] News
GROSSETO. Le donne in stato di gravidanza oggi sanno bene che i farmaci durante il periodo di attesa e poi di allattamento è meglio non prenderli, se non se ne può proprio fare a meno. Ma non era questa una convinzione altrettanto diffusa negli anni cinquanta-sessanta, quando proprio alle donne in gravidanza veniva prescritto come antinausea o blando sedativo la talidomide, in quanto veniva presentato come un rimedio con un profilo tra rischi e benefici assolutamente a favore dei secondi e per questo motivo si preferiva ai barbiturici (che avevano effetti simili) proprio nei nove mesi di attesa.
Purtroppo i nati con malformazioni gravissime in quel periodo fecero ricredere su queste convinzioni e alla fine del 1961 la talidomide venne ritirata dal commercio, dopo che il suo uso sotto diverse denominazioni si era diffuso in ben 50 paesi diversi e dopo che aveva prodotto migliaia di deformazioni (si stima siano almeno 10mila in tutto il mondo) , tra cui la più diffusa è la focomelia, ovvero la totale o parziale assenza di arti o la loro malformazione.
La talidomide è stata poi reintrodotta dall'Aifa anche in Italia ma solo per intervenire in alcuni casi di tumore raro (come il mielosa multiplo) dove pare sia stata verificata l'efficacia, nonostante i gravi effetti collaterali che esso ha dimostrato avere.
E' notizia di questi giorni che ai circa 100 soggetti che hanno riportato queste conseguenze per l'uso della talidomide da parte delle loro madri quando erano in gravidanza, il ministero del Welfare riconoscerà un indennizzo di circa 4mila euro al mese.
Il caso della talidomide è ben noto, forse anche per il fatto che fu uno dei primi casi in cui emergevano gli effetti collaterali dovuti all'uso dei farmaci, e quindi si appannava l'aurea del potere salvifico che in quegli anni si attribuiva alle nuove molecole che uscivano dalle industrie farmaceutiche, infine perché il suo ritiro dal commercio venne sostenuto con una vasta e dura campagna condotta da medici, avvocati e giornalisti.
Ma il fatto che i farmaci sono sempre portatori di effetti collaterali non è certo né una novità né tantomeno un elemento sottaciuto.
Che «non esistono farmaci innocui» e che «tutti i farmaci a fronte di benefici danno luogo a reazioni tossiche» è lo stesso Sergio Garattini dell'autorevole Istituto Mario Negri a sostenerlo. E i più comuni effetti collaterali che si riscontrano per l'uso di farmaci«Sta allora alle autorità sanitarie,dice il direttore del Mario Negri «stabilire quando il rapporto benefici-rischi è troppo spostato verso i rischi e può rappresentare un pericolo per la salute pubblica».
Ma la maggior parte delle volte che i rischi per la salute siano maggiori dei benefici, emerge quando ormai gli effetti sono evidenti perché il farmaco è diffuso e usato da pazienti speranzosi di trarne giovamento per curare le loro patologie. Sino a contare diversi morti come nel caso del Vioxx, un antinfiammatorio che determinava gravi effetti all'apparato cardiaco.
Un problema che si potrebbe attribuire all'approccio utilizzato per calcolare il bilancio rischi-benefici, ovvero l'assunzione che su tutti gli individui si manifesti la stessa relazione farmaco-recettore; quando poi - e non è una ipotesi peregrina- sono le stesse aziende farmaceutiche a falsare le informazioni scientifiche come è accaduto alla Pfizer che si è vista multare per 2,3 miliardi di dollari per frode e informazioni falsificate.
Detto questo è innegabile che la farmacologia abbia determinato notevoli benefici alla salute umana e alla speranza di vita degli individui, ma quello che appare poco plausibile è che ancora vi siano attacchi all'arma bianca (l'ultimo è dello scorso mese di agosto) all'uso dell'omeopatia o alle altre medicine spesso denominate non convenzionali, ma che sempre più spesso invece proprio da chi le pratica sono usate in maniera complementare. Perché ne conoscono bene limiti ed efficacia.