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[06/10/2009] News
GROSSETO. Il governo Berlusconi vorrebbe accelerare l'avvio della nuova stagione nucleare nel nostro paese e non lascia correre sulle notizie di stampa che sempre più spesso presentano la lista dei siti probabili sui quali potrebbero sorgere le future centrali.
Indiscrezioni di stampa sempre più frequenti e mai smentite categoricamente dal ministro Scajola - attacca Roberto Della Seta, capogruppo del Pd nella commissione Ambiente, che ha presentato un'interrogazione urgente al ministro dello sviluppo economico chiedendogli di «riferire sulle voci sempre più insistenti secondo cui sarebbe già stata predisposta una prima lista di possibili siti nucleari».
Le notizie di stampa parlano di Trino Vercellese in Piemonte, Caorso in Emilia Romagna, Monfalcone in Friuli Venezia Giulia, Chioggia in Veneto, Montalto di Castro nel Lazio, Oristano in Sardegna, Termoli in Molise, Scanzano Jonico in Basilicata, Termini Imerese e Palma in Sicilia come aree che sarebbero state individuate per ospitare una centrale nucleare o un sito permanente di smaltimento di scorie.
Il ministro dello sviluppo economico Claudio Scajola continua a ripetere che nel 2013 (cioè entro fine legislatura) verrà posta la prima pietra e che nel 2018 entrerà in funzione la prima centrale; dove, saranno le aziende a indicarlo dopo che a febbraio dell'anno prossimo verrà varato il decreto con il quale si stabiliscono i criteri per l'individuazione dei siti.
Un ottimismo che forse al ministro Scajola deriva dal fatto di aver previsto nel decreto sviluppo che i siti delle nuove centrali e i luoghi per la gestione delle scorie potranno essere localizzati anche contro il parere della Regione che dovrà ospitarli, dal momento che gli impianti potranno essere equiparati ad opere d'interesse strategico (al pari delle installazioni militari) e che quindi si potrà mandare l'esercito a difendere la scelta.
Intanto undici regioni hanno recentemente presentato ricorso alla Corte Costituzionale in quanto la legge 99/2009 (cosiddetto decreto sviluppo) è palesemente in contrasto con quanto stabilito dal titolo V della Costituzione. Tra queste manca all'appello la regione Lombardia, che potrebbe ospitare uno o più reattori sul suo territorio. E oggi, in concomitanza con la discussione al Consiglio regionale lombardo di una mozione sul tema nucleare, alcuni attivisti di Greenpeace hanno portato finti fusti di scorie radioattive davanti al Pirellone, sede del governo regionale (nella fotogallery) per chiedere al presidente Roberto Formigoni una presa di posizione chiara sul tema.
Ma la tempistica auspicata dal ministro Claudio Scajola viene nei fatti rivista anche dal pragmatismo delle aziende che sanno bene fare i conti i tempi della burocrazia e della politica.
I siti non saranno individuati prima delle elezioni amministrative della prossima primavera hanno detto i dirigenti di Enel al seminario che hanno organizzato per i giornalisti a casa del partner francese Edf, a Flamanville. Nel 2013 saranno ancora in atto le procedure e forse nel 2015 sarà possibile cominciare i lavori; quindi - se tutto andrà liscio- solo nel 2020 si arriverà a produrre il primo chilowattora con l'atomo.
Ma le perplessità da parte delle prime imprese che si accingono all'opera, ovvero Enel e Edf che rappresentano il primo consorzio che opererà nel rilancio del nucleare in Italia, non sono solo sui tempi: i nodi da sciogliere sono anche riguardo ai costi.
Prendendo a termine di paragone l'impianto di Flamanville, una centrale Epr del tipo delle quattro che dovrebbero essere realizzate come prime in Italia, il costo stimato è di 4,5 miliardi a centrale, ovvero 18 miliardi in tutto. Un prezzo che si aggirerebbe attorno ai 55-60 euro per ogni Mwatt prodotto, definito ancora competitivo dalle aziende che però chiedono una maggiore garanzia di vendita sul mercato.
Quello che chiedono è dunque un prezzo stabile, non soggetto alle variazioni di mercato che potrebbe essere raggiunto seguendo due strade: la prima è quella adottata anche per la centrale di Olkiluoto in Finlandia, ovvero un consorzio in cui gli azionisti sarebbero gli stessi utilizzatori dell'energia prodotta e che quindi avrebbero un interesse diretto a stabilire il prezzo finale della vendita dell'energia. La seconda è quella che prevede contratti per fornitura in tempi lunghi a prezzo stabilito. In quel caso l'acquirente potrebbe essere anche lo stesso gestore, che starebbe in una botte di ferro: se i prezzi del mercato fossero in discesa avrebbe tutto da guadagnare, in caso contrario potrebbe rifarsi facendo ricadere il deficit sulla bolletta dei consumatori finali.
C'è da scommettere che sarà proprio questa la scelta cui si guarderà con maggiore interesse.