[07/10/2009] News

Non basta l'appoggio delle imprese verdi, i democratici Usa cedono alla lobby nucleare

LIVORNO. A quanto pare la rivolta delle multinazionali contro la Camera di Commercio Usa (della quale Greenreport aveva dato notizia qualche giorno fa) colpevole di contrastare l'approvazione di una legge sul clima al Senato , si sta estendendo. Alla Nike si sono aggiunte Apple, Exalon PG&E e PNM Resources ed altre grandi firma americane che negli ultimi tempi si erano date una bella mano di verde alla loro immagine.

Qualcuno, come oggi il Sole 24 Ore, parla della possibilità di una frattura all'interno della potentissima Camera di Commercio statunitense che ha sempre fatto lobbing (spesso estremo) in parlamento per tutelare gli interessi delle grandi industrie Usa, ma stavolta il meccanismo si è rotto e alle grandi firme sportive e dell'elettronica, che hanno da tempo intrapreso politiche "green" si sono unite abbastanza a sorpresa alcune company energetiche, cioè proprio quelle che la Camera di Commercio Usa vorrebbe tutelare da una legge obamiana che ormai quasi tutto il mondo considera il minimo che l'America possa fare.

Una legge ferma al senato e che ai Climate change talks di Bangkok è sottoposta in questi giorni ad un fuoco di fila di critiche per essere troppo poco ambiziosa, a cominciare da quelle di Connie Hedegaard, il ministro dell'ambiente della Danimarca (il Paese che ospiterà la Cop 15 di Copenhagen) che ha detto: «Nel XXI secolo, non riesco a immaginare un accordo globale sul clima senza l'accordo delle economie più importanti, compresi naturalmente gli Stati Uniti. Gli americani devono capire che è in gioco la loro posizione come potenza mondiale nel trattare i grandi problemi globali». La Hedegard ha detto di sperare che Barack Obama e i democratici ce la facciano ad arrivare al summit mondiale di dicembre «Con una politica del clima che sia sufficientemente ambiziosa. E' chiaro che tutto il mondo è consapevole della necessità di non ripetere l'errore del protocollo di Kyoto che gli Stati Uniti non hanno firmato al quale alla fine e l'India e la Cina non hanno preso parte».

La Hedegaard si è fortemente irritata per quanto dichiarato sabato scorso al New York Times da Carol Browner, una dei consiglieri più ascoltati di Obama, che aveva detto che non c'era nessuna possibilità che il Congresso riuscisse ad adottare una legge sul clima prima di Copenhagen.

La posizione Usa sta diventando così pericolosa che la Danimarca sta seriamente pensando di convocare un vertice dei Capi s di Stato e di governo per accelerare i negoziati della road map di Bali e il presidente francese Nicolas Sarkozy si è subito offerto di ospitare questo ennesimo summit a novembre.

La resistenza delle industrie Usa e dei senatori americani non imbarazza solo le imprese che puntano su l'innovazione verde (almeno come immagine) ma lo stesso Barack Obama sta perdendo molto del suo fascino e credibilità a livello internazionale. Forse era inevitabile, visto che in molti hanno pensato che gli Usa con lui avessero fatto una svolta green "a sinistra", mentre la sua politica centrista (peraltro dichiarata) sembra "spinta" solo perché è stata preceduta da un estremismo neoconservatore che negava persino il buonsenso e l'evidenza dei cambiamenti climatici.

Infatti, anche la via di uscita dallo stallo in senato sembra avvenire al centro, con il cedimento ad un'altra potente lobby industriale, quella nucleare, che se ne frega del greenwashing e punta decisamente ad ottenere, mettendo sul piatto gli ambiti voti dei "moderati" repubblicani, gli enormi finanziamenti pubblici necessari alla sua sopravvivenza.

Anche se il programma di Obama negava ogni finanziamento al nucleare, i democratici hanno ceduto ed hanno fatto spazio nel loro sterminato e permeabilissimo progetto di legge sul clima ad un sostegno "significativo" all'industria dell'atomo per la costruzione di nuovi reattori, la ricerca e lo sviluppo, e la formazione più personale altamente qualificato. L'accodo è stato raggiunto come elemento chiave per l'approvazione del Clean Energy Jobs and American Power Act, e garantito dai democratici Barbara Boxer, presidente della commissione ambiente e lavori pubblici del Senato e da John Kerry, presidente della Commissione esteri.

Secondo la Boxer il progetto di legge "aggiornato" ieri prevede «Un ampio spettro di soluzioni per l'energia: le energie rinnovabili, gas naturale, una maggiore produzione di petrolio sul mercato interno, energia nucleare sicura, tecnologie del carbone pulito ed efficienza e risparmio energetico». La legge Boxer-Kerry va quindi oltre la legge approvata a giugno dalla Camera dei Rappresentanti nel mese di giugno, fornendo finanziamenti al nucleare in cambio di non meglio definite assicurazioni contro i rischi e nuovi programmi di ricerca e sviluppo per il nucleare di IV generazione e per la gestione delle scorie radioattive.

Dal no di Obama nel nuovo testo (scritto sotto ricatto dei filonucleari democratici e repubblicani) si è passati, al finanziamento di «Nuovi reattori che avvieranno una nuova era per l'industria nucleare, e si tradurranno in decine di migliaia di posti di lavoro. E' la politica degli Stati Uniti per facilitare lo sviluppo continuo di energia nucleare, dato il suo ruolo importante nella transizione verso un'economia a basso carbonio. Gli Stati Uniti facilitano questa crescita, riducendo le barriere finanziarie e tecniche di costruzione e gestione e fornendo incentivi per il nucleare, lo sviluppo della forza lavoro connessa e la crescita del settore».

Nelle centrali nucleari Usa qualcuno ha stappato lo champagne, ma i repubblicani non sono contenti e preparano emendamenti per ottenere ancora di più e ora, convertiti tutti di un colpo alla necessità di combattere il global warming che fino a ieri negavano, dicono che per farlo ci vogliono più finanziamenti per nucleare, gas e biocarburanti.

Marvin Fertel, presidente della Nuclear Energy Institute, ha detto che l'apertura al nucleare è «Un passo nella giusta direzione, ma sono necessarie ulteriori disposizioni sostanziali. Sappiamo che abbiamo bisogno di costruire altre centrali nucleari per soddisfare i nostri obiettivi sul clima», e ne propone la bazzecola di 187 entro il 2050, con una spesa che probabilmente risucchierebbe ogni finanziamento per le energie rinnovabili.
Kerry guida la retroguardia della mesta ritirata democratica: «Se siamo disposti a mostrare di muoverci significativamente verso il nucleare, credo che possiamo avere alcuni sostenitori repubblicani».

Torna all'archivio