[20/10/2009] News
LIVORNO. C'era una volta la cabina di regia che avrebbe dovuto mettere ordine nello scacchiere energetico italiano, stilando fila di cifre e numeri per pianificare, alla luce del fabbisogno del Paese e alla luce della domanda del mercato mondiale nell'ottica di trasformare l'Italia in hub europeo del gas, quanti e quali rigassificatori realizzare in Italia.
La stagione era quella del 2006, al governo c'era il centrosinistra e il ministero dell'Industria era Pierluigi Bersani, che doveva vedersela con i no del collega all'Ambiente Pecoraro Scanio, che proprio con quei no (veri e presunti, ma la percezione ormai lo ha fatto passare come l'uomo dei no) ha avviato la parabola della catastrofe dei Verdi, di cui oggi appare difficile persino raccogliere i cocci.
Il 2006 fu anche il primo anno di pubblicazioni di greenreport, che nacque annoverando subito la questione energetica e dei rigassificatori, come uno dei grandi temi da seguire. Spendemmo pagine su pagine per raccontare quello che già appariva un lunghissimo balletto di stime e numeri, di previsioni e di comitati, di annunci tranquillizzanti e di studi catastrofici. Abbiamo riportato, approfondito e quando necessario chiosato opinioni di esperti, amministratori, ambientalisti e politici, seguendo da vicino l'iter autorizzativo dei due progetti a noi più vicini, il rigassificatore Olt offshore di Livorno e quello Edison di Rosignano, previsto a terra.
Un unicum sul territorio italiano, visto che della ventina di progetti (alcuni neppure arrivati allo status di progetto), quello di Livorno e quello di Rosignano dista(va)no meno di 30 chilometri.
Il grande neo di tutta la partita, evidenziato fin da subito, era l'assenza di una strategia definita, e il rischio più grande paventato era che al di là del merito della questione (la necessità o meno di aumentare le riserve di gas, la convenienza o meno di diventare un hub europeo del gas) andassero avanti non quelli che erano ritenuti i migliori progetti e nei luoghi più adatti, bensì quelli dove l'impresa sarebbe stata più brava ad assecondare le compensazioni territoriali, dribblare le procedure burocratiche e arginare le proteste dei comitati locali.
Non sappiamo se il rigassificatore offshore di Rovigo appena inaugurato (il primo del genere al mondo), possa essere annoverato in questo elenco (in realtà da sempre è stato inserito tra i progetti più avanzati e più solidi dal punto di vista economico, fin dalla prima presentazione ufficiale del progetto, 11 anni fa), certo è che il rischio paventato a suo tempo si è avverato puntualmente. E complice anche un calo di attenzione sul tema rigassificatori seguito al cambio di governo ( l'attuale esecutivo, si sa, predilige gli spot nucleari e in subordine il magico carbone pulito), di strategia nemmeno a parlarne, figurarsi di un piano energetico nazionale (in questo senso va letto quindi anche l'odierno rilancio da parte del ministro Scajola sul rigassificatore di Trieste, osteggiato invece dalla confinante Slovenia).
Rispetto al 2006 poi è cambiata anche un'altra cosa. Improvvisamente infatti (perché appunto è mancata qualsiasi pianificazione, nel vecchio e nel nuovo governo) si scopre che di gas non solo non ce n'è poi così bisogno in Italia dove i depositi sono pieni fino all'orlo, ma attualmente ce n'è tanto anche nel resto d'Europa, complice la crisi che ha ridotto i consumi nell'ultimo anno. Con il che viene a mancare (oggi, domani chissà, bisognerebbe studiare le tendenze e le evoluzioni attese del mercato, ergo pianificare!) anche la contestata (dai vari comitati locali) strategia di incamerare gas per poi rivenderlo ad altri Paesi.
Lo scacchiere energetico internazionale del resto è sempre più ingarbugliato, come spieghiamo nell'altro articolo dedicato al gasdotto South Stream, che sarà probabilmente anche al centro della - per certi versi misteriosa - visita di Silvio Berlusconi all'amico Putin.