[20/10/2009] News
LIVORNO. Oggi il Financial Times pubblica un'intervista ad Yvo de Boer (Nella foto), il segretaro dll' United Nations Framework Convention on Climate Change (Unfccc) che mette una pietra tombale sulla possibilità di un accordo sul post-Kyoto al summit di Copenhagen, anche se dice che nella capitale danese si disegnerà «Il quadro politico in vista delle riduzioni delle emissioni di gas serra».
Secondo quanto dichiara de Boer, «Non credo che riuscirà a passare interamente un nuovo trattato internazionale nell'ambito della United Nations Framework Convention on Climate Change». Sul giudizio di de Boer pesano gli esiti dei Cilmate change talks di Bangkok che del Major economies forum di Londra, dove è emersa la convinzione dei Paesi in via di sviluppo ed emergenti di mantenere il Protocollo di Kyoto (rafforzato) con impegni precisi per i Paesi sviluppati mentre questi ultimi chiedevano agli altri di assumersi anche loro la responsabilità di tagli obbligatori dei gas serra.
Secondo il segretario dell'Unfccc a Copenhagen «I governi si metteranno d'accordo sulla struttura di un accordo e sui dettagli tecnici di ciò che potrà essere ulteriormente completato».
Non molto esaltante ma comunque meglio del fallimento quasi assoluto pronosticato dal nostro ministro Claudio Scajola.
De Boer ha aggiunto: «Se si guarda al poco tempo che rimane prima del summit di Copenhagen, dobbiamo concentrarci su quel che può ragionevolmente essere fatto e come questo possa essere realisticamente inquadrato». Cioè gli impegni sui tagli delle emissioni (volontari o meno) e i meccanismi di cooperazione internazionale da mettere in atto per la mitigazione del cambiamento climatico e l'adattamento alle sue conseguenze nei Paesi più poveri.
Con l'intervista al Financial Times de Boer invia un chiaro segnale sulla direzione che stanno prendendo i negoziati internazionali sul clima e si arrende all'evidenza che la road map disegnata a Bali in due anni non è riuscita ad arrivare al traguardo che i Paesi del mondo si erano dati: un nuovo trattato per il post-Kyoto.
«Questo significa - dice de Boer - che una decisione globale a Copenhagen definirà i singoli obiettivi per i Paesi industrializzati, che deciderà come i maggiori Paesi in via di sviluppo intendano impegnarsi ( per la riduzione delle emissioni) per il 2020, e si spera che le mettano all'interno di un contesto di obiettivi a lungo termine per un taglio di emissioni globali per il 2050» , inoltre il summit danese a questo punto dovrebbe limitarsi a «Decidere una scadenza entro la quale questa "architettura" possa essere negoziata in qualcosa di comprensivo», come un trattato internazionale giuridicamente vincolante.
A de Boer non resta altro che invitare i leader mondiali a partecipare alla Conferenza dell'Unfccc: «L'effetto (della partecipazione) del Presidente Obama aumenterebbe enormemente le probabilità di raggiungere un accordo a Copenaghen, perché potrebbe dare il suo personale sostegno politico. Il fallimento di un accordo a Copenhagen sarebbe disastroso. Fallire a Copenhagen in realtà significa finire nel nulla, perché vorrebbe dire meno fiducia in questo processo multilaterale e che nuove priorità politiche emergono all'orizzonte»
Il "realismo" di Yvo de Boer sta facendo arrabbiare le associazioni ambientaliste un po' in tutto il mondo che lo accusano di aver ceduto a coloro che profetizzano un fallimento di Copenhagen ed intanto lavorano perché questo avvenga.
Il Fne francese dice: «Non è accettabile, soprattutto da parte di un rappresentante dell'Onu, di abbassare oggi le braccia nel nome di una realpolitik climatica!. Il realismo di Yvo de Boer può avere delle conseguenze catastrofiche perché dà ragione a tutti i campioni del disfattismo e dell'immobilismo. Di fronte alla crisi climatica, i negoziatori hanno l'obbligo dei risultati, non del realismo! Yvo de Boer, segretario esecutivo dell'Unfcc, responsabile per il riscaldamento climatico dell'Onu, ci viene a dire che il summit di Copenhagen finirà in una risata».