[26/10/2009] News
FIRENZE. Oltre a quella degli impegni che i Paesi industrializzati, in via di sviluppo ed emergenti dovranno assumersi in merito alla riduzione delle emissioni climalteranti al vertice di Copenhagen, si sta giocando anche un'altra importante partita: quella sulla cattura e lo stoccaggio del biossido di carbonio.
Con la sigla Ccs, (Carbon capture and storage) si intendono una serie di processi tecnologici che comprendono la cattura di anidride carbonica dai fumi di scarico delle industrie, il suo trasporto e l'iniezione in formazioni geologiche. L'obiettivo è quello di evitare che la CO2 derivante dalla combustione dei carburanti fossili, in particolare carbone, venga messo in circolazione nell'atmosfera.
Secondo il gruppo intergovernativo delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico lo stoccaggio geologico del biossido di carbonio potrà efficacemente limitare le emissioni nocive fino a un massimo del 55% entro il 2100 e generare un'influenza positiva sul clima. Scienziati e tecnici, considerato che lo stoccaggio geologico del biossido di carbonio è un processo nuovo, sono divisi tra favorevoli e contrari.
Gli oppositori del Carbon capture and storage considerato che il processo è costoso nella varie fasi e sperimentale, ripropongono le loro obiezioni anche di natura economica. Ad esempio lo stesso Unep (United nations environment programme) fa notare che in natura esistono già sistemi di cattura della CO2 efficienti e gratuiti: oceani, ecosistemi marini, zone umide costiere e foreste tropicali assorbono tutti i giorni grandi quantità di carbonio dall'atmosfera. Sull'altro fronte a Londra il Carbon Sequestration leadership forum ha riunito i rappresentanti di 22 paesi intorno a questo tema, ed il confronto è stato indirizzato soprattutto sul futuro del piano emerso dal G8, mirato ad individuare una ventina di progetti dimostrativi in materia entro il 2010.
Ma nel dibattito sono emerse perplessità simili a quelle avanzate dagli oppositori a questo processo. Prima tra tutte il livello ancora sperimentale delle tecnologie, che ha fatto ipotizzare al rappresentante statunitense uno slittamento dei programmi fino al 2017-2019, con un avvio concreto solo alla volta del 2020.
Nell'occasione l'Iea, (International energy agency), ha snocciolato i suoi numeri: entro il 2020 sarebbe necessario realizzare un centinaio di grandi impianti di cattura e stoccaggio del carbonio, cui dovrebbero seguire più di tremila progetti per il 2050, alcuni dei quali già individuati. Sarà l'Ocse a coordinare le operazioni nei paesi sviluppati, ma dal 2050 le stime prevedono che il 65% dei progetti Ccs debbano essere collocato in paesi con economie in transizione o in via di sviluppo.
Sempre secondo l'agenzia saranno necessari 56 miliardi dollari nel decennio 2010-2020 e 646 miliardi per il periodo 2021-2030. In questo quadro l'UE intende assumersi la leadership nel settore anche investendo in ricerca: dei 50 miliardi di euro che dovrebbero essere mobilitati per la ricerca in tutto il comparto energetico, il Ccs si aggiudicherebbe infatti ben 13 miliardi (secondi solo ai 16 stanziati per l'industria del solare), da destinare ad un massimo di dodici progetti dimostrativi.
I 12 progetti pilota europei di Ccs che dovrebbero essere operativi entro il 2015 saranno ubicati in Olanda e Gran Bretagna (3), in Germania (2) in Spagna, Polonia, Italia e Francia (1). L'installazione italiana per la quale il nostro paese riceverà 100 milioni di euro dalla Commissione europea per sviluppare su scala commerciale una centrale a carbone dotata di un sistema per la cattura e lo stoccaggio di Co2 dovrebbe sorgere a Porto Tolle.