[27/10/2009] News
LIVORNO. Non è una buona notizia: nell'ultima classifica di Greenpeace "Cool IT", che premia l'impegno del settore dell'information tecnology sul fronte dei cambiamenti climatici, nessuna azienda ha ottenuto un punteggio superiore a 50 su 100. Considerando infatti quanto invece queste aziende dicono di impegnarsi sul climate change, a livello pubblicitario, questo significa che
i colossi dell'IT «come Google, Microsoft e IBM non si stanno ancora impegnando per chiedere di ridurre le emissioni di gas serra».
Un chiaro sostegno alle richieste di forti riduzioni delle emissioni -. Spiega l'associazione ambientalista - è un criterio chiave per ottenere un punteggio elevato all'interno della classifica, così come la capacità delle aziende di proporre soluzioni alla crisi climatica adottabili su larga scala e misurabili. Al primo posto, comunque, c'è Ibm con un punteggio di 43 su 100, segue al secondo posto HP e Fujitsu al terzo. Google, appena entrata nella classifica, si piazza al quarto posto con 32/100.
Il rapporto "Smart 2020", commissionato dalla stessa industria IT, mostra chiaramente che soluzioni IT amiche del clima hanno le potenzialità per ridurre le emissioni globali di gas serra del 15% entro il 2020.
«Sebbene il settore IT potrebbe trarre profitto da forti obiettivi di riduzione delle emissioni, purtroppo non sta facendo abbastanza per sfruttare questo potenziale e guidare il processo verso un'economia a bassa intensità di carbonio - commenta Melanie Francis,responsabile campagna Clima di Greenpeace International - Giganti dell'IT come Microsoft, Google e IBM devono far sentire il proprio peso per un accordo forte a Copenhagen, o le possibilità di salvare il clima andranno perdute a causa delle pressioni negative dell'industria sporca».
Ibm - si legge sempre sulla nota di Greenpeace - mantiene il primo posto grazie alla vasta gamma di soluzioni per il clima e all'impegno a ridurre le proprie emissioni, ma Hp è a solo un punto di distanza. Sia Hp che Toshiba hanno mostrato buoni progressi nel fornire più informazioni su come le soluzioni proposte siano in grado di ridurre le emissioni globali. Dell, Nokia e Sony, invece, hanno fallito ancora nel migliorare la propria posizione.
Sharp si è distinta come l'unica azienda giapponese che abbia lodato l'impegno del proprio Governo a ridurre le emissioni del 25% entro il 2020. La neo-arrivata Google ha fissato un piano per ridurre le proprie emissioni al 2030, ma non si è ancora espressa pubblicamente affinché sia raggiunto un accordo stringente a Copenhagen. Al contrario, l'amministratore delegato di Eriksson ha già rilasciato importanti dichiarazioni sull'urgenza di affrontare il problema dei cambiamenti climatici.
«La recente decisione di Apple di lasciare la Camera di Commercio americana in seguito alle attività di lobby di quest'ultima contro l'introduzione della legislazione sul clima (4) è in stridente contrasto con l'indifferenza di Google, Microsoft e IBM in questa delicata fase dei negoziati" commenta Casey Harrell, responsabile campagna Inquinamento di Greenpeace International. "Altre aziende IT statunitensi continuano a finanziare l'operato distruttivo della Camera di Commercio con i soldi versati per il tesseramento».
Certo, "dire e fare" sono due aspetti essenziali per un'azienda che davvero voglia impegnarsi (o per convenienza o perché ci crede davvero o per entrambe le cose) contro il cambiamento climatico e per la sostenibilità ambientale e sociale in generale. Queste classifiche hanno il merito di portare all'attenzione generale il tema e di mettere un po' in difficoltà aziende che puntano molto sull'immagina della propria società. Il resto però lo devono fare i governi sapendo che, nel caso, l'industria dell'IT è tutt'altro che carbon free come tante volte abbiamo messo in evidenza. Nessuna demonizzazione, ma almeno dovrebbe essere chiaro che la dematerializzazione è stata una chimera e che pasti gratis anche nella rete non ce ne sono. Anzi.