
[02/11/2009] News
LIVORNO. La presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, subodorando il bluff del governo sul taglio delle tasse alle imprese, ha chiesto di trovare i soldi tagliando "la spesa pubblica improduttiva".
Cosa sia questa spesa improduttiva in comuni già esausti e spesso al lumicino, che ormai si limitano all'ordinaria amministrazione è un mistero abbastanza difficile da capire.
Non che, naturalmente, nelle amministrazioni pubbliche non vi siano sprechi e burocrazie borboniche che ingoiano risorse che dovrebbero essere spese meglio, ma non si capisce cosa vorrebbe tagliare la Marcegaglia. Quel che rimane di uno Stato sociale ormai ridotto al lumicino mentre aumentano disoccupati, precari, anziani e poveri? Ancora la scuola e la ricerca? Oppure gli ormai inesistenti investimenti per la tutela dell'ambiente e la cura del territorio, per fermare un Paese che sta letteralmente scivolando a mare per colpa di politiche ambientali sbagliate, infrastrutture inutili, cemento sparso a piene mani, magari in zone industriali realizzate con il denaro pubblico (italiano o europeo, fa lo stesso) per poi abbandonarle subito dopo che cessano i finanziamenti?
Naturalmente Confindustria chiede di abbassare le tasse agli imprenditori e di tagliare la spesa poco virtuosa, ma poi chiede maggiori investimenti in infrastrutture, ricerca industriale, aiuti alle imprese in difficoltà, sgravi fiscali... E' un po' come volere la botte piena e la moglie ubriaca, che andrebbe anche bene se si riuscisse a rispondere in Italia a una cosa che non si può dire, una verità ormai diventata tabù: chi è che non paga le tasse, causando una voragine nelle casse dello Stato e degli enti locali che poi determina l'ingiustizia contributiva che è madre di una spesa "ingiusta"?
E ancora: dove sono finiti i lautissimi guadagni degli anni delle vacche grasse? Chi sono gli evasori protetti dallo scudo fiscale che hanno portato i soldi all'estero? A chi è dovuto il record (forse mondiale) di evasione fiscale italiano che da solo potrebbe sanare i buchi dello Stato e dare nuove risorse per investimenti, sanità, cura del territorio, ricerca? Sono forse i lavoratori dipendenti ad evadere e a portare i soldi in Svizzera ed alle Cayman?
Chiaro che no. Come è chiaro che Confindustria, con il suo liberismo ad intermittenza, applicato solo al pubblico ma che si spegne quando c'è da prendere finanziamenti pubblici (in un'industria italiana da sempre molto assistita e da sempre molto ben compenetrata con la politica e le politiche governative), qualche problemino di coerenza nel chiedere rigore dovrebbe averlo.
Ma questo è lo strano Paese nel quale il Re non è mai nudo e nessuno chiede conto alla brava Marcegaglia della "spesa privata improduttiva con soldi pubblici", del cimitero di capannoni frutto di scelte imprenditoriali sbagliate accollate sulle spalle dei cittadini, della partecipazione all'assalto del territorio attraverso investimenti che diventano "rendita" del mattone, di regali a fondo perduto o a prezzi stracciati come quelli del fallito G8 della Maddalena o di quelli che si preparano per i soliti noti con i campionati europei di calcio del 2016, sul modello dello scandalo politico-imprenditoriale di Italia 90 insabbiato senza battere ciglia.
In questo Paese, che ha 5 regioni e un bel pezzo di economia in mano ad un'imprenditoria mafiosa, che delocalizza e precarizza a ritmi cinesi, è passata l'immagine dell'imprenditore angelico, senza colpe, vittima della cattiva spesa pubblica, della burocrazia asfissiante, delle tasse devastanti...
Eppure questa classe imprenditoriale è un pezzo importantissimo della classe dirigente di questo Paese (anche nei comuni "spreconi"), ne esprime addirittura il primo ministro, è sempre stata (salvo brevi parentesi) filogovernativa, appoggiando e chiedendo, piangendo e fottendo come direbbero i napoletani.
Nonostante i vestiti firmati, le auto e le barche da favola, la bella vita ostentata e le ville sparse per il mondo, sembrerebbe di avere invece a che fare con un gruppo di calvinisti dell'economia, di parchi stakanovisti dell'impresa che niente c'entrano col disastro fiscale di un'Italia che è un caso europeo per la sua struttura industriale ed economica.
La Marcegaglia ha ragione, ognuno in questo Paese in declino ed invecchiato che non vede una linea di orizzonte comune dovrebbe assumersi le proprie responsabilità, ognuno dovrebbe pagare le tasse, far funzionare i servizi, amare la propria terra.
In molti (e a volte trapela anche dalle parole degli imprenditori) sappiamo di viverre in un Paese "furbo" ma ripiegato su sé stesso, dove il bene pubblico è diventato piano piano bene di nessuno, dove ha vinto quel liberismo poco compassionevole che è diventato pensiero egemone e si è incistato in un familismo amorale che è una delle tare storiche di questo nostro Paese.
Tutti dovremmo fare autocritica (a partire dalla sinistra e dal movimento sindacale) e capire come fare ad uscire dalla nottata italiana, a cominciare da chi è classe dirigente di questo Paese, da chi ha avuto fortuna e capacità imprenditoriali ma anche colossali aiuti e un fisco "ingiusto" ma spesso discreto fino all'omertà e un Paese generoso in condoni e perdoni.
Non si può pensare che con la riduzione "della spesa improduttiva", una formuletta di successo che si è tradotta nelle politiche liberiste che ci hanno portato alla crisi attuale, si traduca nel far pagare i costi ai non produttori, ai vecchi, ai deboli, ai poveri ed ai malati, agli scomparsi dall'orizzonte informativo e politico di questo Paese.
Non a caso la formula magica viene ritirata fuori in uno dei Paesi occidentali meno equi dal punto di vista fiscale e quando la crisi entra in stallo e si pensa che il rilancio possa avvenire con le stesse ricette pre-crisi, aggiungendo un altro pizzico di "shock economy" ad un Paese che ha già devastato il suo Stato sociale, le sue strutture amministrative locali e il suo ambiente... rimanendo immobile.