[03/11/2009] News
GROSSETO. La questione meridionale è da anni al centro del dibattito politico e recentemente oggetto di misure straordinarie per rilanciare l'economia, quali la recente istituzione della Banca del Mezzogiorno ideata e voluta dal ministro Giulio Tremonti (nella foto). «La nostra dimensione territoriale è il territorio del Sud e quella imprenditoriale è la piccola e media impresa.- ha spiegato Tremonti nel presentare la sua nuova creatura- Per il Sud è fondamentale che sul territorio ci siano assistenza e finanziamento all'impresa nella logica del piccolo e medio credito. È quello che ha fatto la fortuna del Nord, a partire dal Veneto» ha detto ancora il ministro dell'Economia.
«La nostra logica - ha aggiunto - è che i grandi numeri si fanno con i piccoli numeri. In questa banca non si parlerà inglese. La nostra logica, la nostra visione è quella dell'albergo che vuole ampliarsi, del Comune che vuole fare un centro congressi, dell'esercente di uno stabilimento balneare che vuole aprire una pizzeria». E il riscatto del Mezzogiorno, come motore per far uscire l'Italia dalla crisi è il tema principale su cui si dibatterà nelle giornate dell'economia al via oggi a Palermo e che andrà avanti per l'intera settimana; iniziativa organizzata dalla Fondazione Curella e dal Diste, in collaborazione con il ministero per gli affari esteri.
«Gli altri paesi, compresi gli Stati Uniti, sono usciti dalla recessione. L' Italia - ha detto il presidente della Fondazione Curella, Pietro Busetta - è ancora nel guado e non potrà recuperare il suo ritardo se non attraverso la ripresa del Sud».
La motivazione sta nel fatto che senza una distribuzione del benessere non potrà esserci una economia stabile e durevole. «I paesi industrializzati - ha aggiunto Busetta - si stanno polverizzando sempre di più tra poveri e ricchi. Globalizzare la felicità significa maggiore equidistribuzione».
Globalizzare la felicità è infatti l'altro tema forte su cui i diversi relatori delle giornate dell'economia saranno chiamati a confrontarsi, per superare il concetto di pil come misuratore di benessere di una popolazione.
«Se non si vuole risolvere la crisi che attraversiamo come lo si è fatto con quella del 1929 e cioè con una guerra - ha concluso l'economista della fondazione Curella-, bisognerà ripartire dalla considerazione che da un lato le ingiustizie distributive vanno corrette e dall'altro che il livello del reddito non è certamente l'elisir della felicità».
Gli indicatori di felicità saranno al centro di un dibattito in programma domani dove è previsto tra gli altri l'intervento di Giovanni Barbieri dell'Istat. E che vi sia la necessità di rivedere la modalità con cui contabilizzare il livello di benessere di un paese, sta diventando un tema con cui dover fare i conti e di cui si sta discutendo dopo che sono stati enunciati i criteri messi a punto dalla commissione Stiglitz, voluta dal premier francese Nicholas Sarkozy e così chiamata perché è il Nobel per l'economia a guidare un gruppo di economisti (tra cui anche il presidente dell'Istat Giovannini) che dovrebbero essere adottati per superare le criticità del pil, riconosciute ormai da molti.
Ma anche oggi si parlerà di felicità con Mario Centorrino, Ordinario dell'Università di Messina, che parte dal presupposto che la felicità è uno stato emotivo cui però concorrono molti altri fattore a determinarla; il problema è allora come misurare questi fattori e quale peso assegnare loro nel definire lo sviluppo economico.
«L'uomo è da sempre alla ricerca di quelle sensazioni ed emozioni che lo facciano star bene - ha detto nel suo intervento Centorrino -, in una parola è alla ricerca di quello stato emotivo di benessere chiamato felicità. Ma chi sono le persone felici? Gli studi che hanno cercato di rispondere a questa domanda evidenziano come la felicità non dipenda tanto da variabili anagrafiche come l'età o il sesso, né in misura rilevante dalla bellezza, ricchezza, salute o cultura».
Nel dibattito è intervenuto anche Padre Gianni Notari, direttore dell'Istituto di formazione politica Pedro Arrupe, di Palermo, aggiungendo al concorso alla felicità anche le questioni ambientali e sociali e la necessità di una governance globale.
«Facendo tesoro di quanto ci insegna la crisi finanziaria globale - ha dichiarato Notari - è urgente trovare quegli anticorpi di cui il sistema ha bisogno per evitare degenerazioni patologiche. Un patto etico per lo sviluppo e una rivoluzione antropologica sono i primi due passi ineludibili per umanizzare la globalizzazione e l'economia mondiale. In un mondo globale in difetto di governance, la sostenibilità sociale e ambientale diventa un'urgenza etica».
E a leggere i dati del rapporto Save the children diffusi ieri all'ultimo vertice sul clima di Barcellona, prima di Cophenagen, è difficile dargli torto. Almeno che non si voglia sostenere che le previsioni di almeno 175 milioni di bambini che subiranno effetti devastanti dovuti ai cambiamenti climatici nei prossimi anni non debba essere un compromesso accettabile per mantenere l'attuale modello di sviluppo, che anche su questi aspetti mostra la sua inquietante disequità.
Un modello che ha prodotto prima una crisi ecologica e climatica sulla quale si è poi innescata anche la crisi economica e che proprio a partire dall'affrontare le questioni climatiche potrebbe offrire l'opportunità di cambiarlo radicalmente.
Ma le avvisaglie in merito ai miseri risultati che si potranno raggiungere a dicembre al vertice di Cophenagen indicano (purtroppo) che quel difetto di governance responsabile della trasformazione in urgenza etica delle questioni sociali e ambientali, sia destinato a non essere colmato.