[04/11/2009] News
FIRENZE. «I modelli climatici sono ancora scarsamente efficaci nella rappresentazione dei cambiamenti climatici su regioni geografiche di dimensioni ridotte, quali l'area mediterranea e la regione alpina. Da un punto di vista di gestione del rischio e delle risorse, invece, sono necessarie stime quantitative degli effetti associati con i cambiamenti climatici in vari scenari di riscaldamento globale e, soprattutto, degli impatti attesi sul ciclo idrologico e sulla disponibilità di acqua, sugli ecosistemi e la biodiversità, sulla produzione agricola, sulla salute e sul patrimonio artistico ed architettonico».
Per questo, secondo il documento "Clima, cambiamenti climatici globali e loro impatto sul territorio nazionale" prodotto dall'Isac-Cnr, occorre «uno sforzo sinergico, volto alla costruzione e all'implementazione, da parte della comunità scientifica italiana, di un modello climatico regionale dell'area mediterranea per la stima di scenari regionali di cambiamento climatico e la valutazione degli impatti ad essi associati». A questo modello regionale andrà affiancata una evoluzione delle procedure di "downscaling" (cioè le analisi che da un modello globale derivano proiezioni locali), già attualmente adottate per la realizzazione di analisi su scala regionale, come nel caso di buona parte delle previsioni contenute nel documento Isac stesso.
Altro ambito da approfondire per quanto attiene all'evoluzione delle conoscenze sul clima italiano e mediterraneo è quello relativo alla paleoclimatologia: se sono disponibili, a livello globale, dati (relativamente) attendibili sulle fluttuazioni climatiche riferite ad un periodo di decine-centinaia di migliaia di anni, e se specificatamente per la regione mediterranea sono disponibili dati di maggiore dettaglio relativi agli ultimi 10-20mila anni, manca però, tra gli strumenti a disposizione dei ricercatori, un modello che permetta di attuare simulazioni del paleoclima su diverse scale temporali. Questo strumento sarebbe però fondamentale, secondo Isac, per «verificare se la nostra comprensione dei meccanismi di variabilità climatica risulta corretta». In poche parole ciò significa che serve uno strumento (nella fattispecie un modello di simulazione) che permetta non solo di osservare le dinamiche del clima in ere passate, ma soprattutto di calcolare quale sarebbe stata l'evoluzione del clima in conseguenza dell'introduzione di variabili, come ad esempio (ovviamente) un aumento della temperatura o lo stesso incremento di gas climalteranti: il fine è naturalmente quello di verificare, come detto, l'attendibilità dei modelli usati per prevedere la futura evoluzione del clima regionale, attraverso la verifica dell'aderenza delle evoluzioni teoricamente prospettate dai modelli stessi a partire da un tempo x, con quelle che si sono poi effettivamente verificate.
Questo procedimento di modellistica sperimentale è anche alla base delle valutazioni sul ruolo che le emissioni antropiche hanno nel surriscaldamento globale, e quindi nelle previsioni per il futuro: riportando i modelli utilizzati oggi ad un tempo x (ipotizziamo il 1920), e confrontando i risultati attesi dai vari modelli con l'evoluzione effettivamente avvenuta al clima, si può vedere quale modello (e quindi quale ipotesi di influenza antropica sul clima) sia effettivamente in grado di simulare la realtà verificatesi e, quindi, di simulare l'evoluzione futura.
Insomma, entrambe le evoluzioni che Isac auspica per il futuro della ricerca climatologica italiana vanno in direzione della predisposizione di migliori modelli predittivi. In generale, nelle conclusioni del documento, l'Istituto di scienze dell'atmosfera e del clima attua un bilancio dello stato delle conoscenze climatologiche attuali, disegnando un quadro che (coerentemente con il quarto rapporto Ipcc, che com'è ovvio è preso come fonte fondamentale di riferimento anche nel documento Isac) «conferma la presenza di un riscaldamento globale e indica che, con altissima probabilità, una parte rilevante del riscaldamento è dovuto all'immissione in atmosfera di gas serra di origine antropica».
Di conseguenza, pur «evitando in modo drastico qualunque forma di catastrofismo o di rassegnata accettazione degli eventi», è necessario secondo il centro di analisi climatica «utilizzare la sfida posta dal cambiamento climatico e dai suoi effetti come motore di progresso economico e sociale, con lo sviluppo di tecnologie sicure, non inquinanti e a bassa emissione di gas serra, tecniche di confinamento della CO2 e, in generale, un forte impulso alla ricerca e all'innovazione».
Più in particolare, le prospettive per il futuro indicano un percorso di sempre maggiore definizione dei ruoli da attribuire alla politica e alla scienza: il ruolo della scienza è, infatti, «quello di comprendere i processi naturali e, al meglio di questa comprensione, effettuare delle proiezioni (espresse in termini probabilistici) del clima futuro per diversi scenari di scelte gestionali, valutando anche la minaccia associata a ciascuna di queste previsioni (..). Alla fine, il prodotto della minaccia per la probabilità che questa si realizzi rappresenta una misura del rischio che la comunità scientifica segnala alla politica. Sulla base di queste informazioni, la politica ha poi il compito di valutare le modalità d'intervento ed in base alle proprie priorità politiche operare delle scelte di cui si assume la responsabilità».