
[06/11/2009] News
TORINO. «75mila ettari di territorio contaminato da fibre di amianto che, in attesa della bonifica dei siti, continuano a mettere a rischio la salute dei cittadini. Anni e anni di battaglie sostenute da associazioni, comitati, sindacati per mettere in sicurezza il territorio e riconoscere i diritti delle famiglie dei lavoratori danneggiati - e in molti casi, purtroppo, uccisi - dalla sostanza estratta, lavorata, smaltita, abbandonata. Oltre 9mila casi di mesotelioma pleurico, il tumore dell'apparato respiratorio strettamente connesso all'inalazione della fibra di amianto riscontrati in Italia dal 1993 al 2004, con una esposizione che nel 70% dei casi è stata di tipo professionale». Sono queste le terribili cifre contenute nel dossier "Liberi dall'amianto", che Legambiente ha presentato alla seconda conferenza nazionale non governativa "Amianto e giustizia" di Torino, promossa da un vasto cartello di associazioni tra cui l'associazione italiana esposti amianto, Medicina democratica, Medici per l'ambiente e con l'adesione delle maggiori sigle sindacali.
Legambiente spiega che «L'amianto in Italia è presente in molte zone e in varie forme: da quello naturale che emerge in superficie e giace all'aria aperta nelle miniere abbandonate da almeno vent'anni, a quello grezzo contenuto in sacchi malamente stoccati nei magazzini o nei piazzali degli stabilimenti produttivi, fino a quello miscelato con il cemento nella classica ondulina dei tetti e nelle tamponature degli edifici industriali o domestici degli anni '70 e '80 presente diffusamente in tutta Italia. Ma i numeri eccezionali dei casi di mesotelioma alla pleura si spiegano anche con il record non invidiabile della produzione di amianto che deteneva l'Italia fino al 1992, di secondo produttore europeo con oltre 3,7milioni di tonnellate di amianto grezzo estratto, prodotto e commercializzato in tutto il Paese».
I casi più eclatanti sono quelli del milione di metri quadrati degli edifici di Casale Monferrato, i 45milioni di m3 di pietrisco di scarto contaminato usato per rimodellare i versanti della miniera di Balangero (To), 90mila m3 di fibre nello stabilimento di cemento amianto di Bari, i 40mila big bags con rifiuti d'amianto della bonifica di Bagnoli a Napoli... Una vera e propria (e dimenticata) emergenza nazionale diffusa dalle Alpi alla Sicilia, con almeno 2mila morti all'anno causate dall'esposizione all'amianto: circa 900 per mesotelioma pleurico, altrettanti per il tumore ai polmoni, il resto per il tumore alla laringe e alle ovaie.
«Nonostante l'urgenza sanitaria - dice Stefano Ciafani, responsabile scientifico di Legambiente - le bonifiche vanno a rilento, grazie anche all'inefficiente gestione da parte del ministero dell'ambiente delle conferenze dei servizi per la valutazione autorizzazione dei piani e dei progetti per la bonifica. Bisogna spostare la gestione dell'iter in ambito locale, presso le regioni o i comuni, assicurando al ministero e agli enti tecnici nazionali il compito di supportare, verificare e indirizzare il procedimento, garantendo ai cittadini trasparenza e disponibilità delle informazioni sullo stato di avanzamento del risanamento ambientale».
A Casale Monferrato, dove negli anni '70 l'Eternit produceva il 40% del cemento amianto italiano, dal 1998 sono state portate a termine le bonifiche dello stabilimento e della sponda destra del fiume Po, all'Eternit di Bagnoli invece, nei 20 ettari contaminati la bonifica è arrivata al 40-45% dell'ultimo lotto dei lavori preventivati e la conclusione definitiva è prevista per i primi mesi del 2010, e solo qualche passo in avanti, c'è stato anche sull'impianto Fibronit di Bari e su quello Eternit di Siracusa.
«Per quanto concerne invece i restanti siti di interesse nazionale - si legge nel dossier - continuano gli imperdonabili ritardi sugli interventi di messa in sicurezza d'emergenza, sulle caratterizzazioni e sui progetti preliminari e definitivi di bonifica. È il caso di Broni, in provincia di Pavia, nel Programma nazionale di bonifica dal 2002, dove a causa della mancanza di risorse economiche, sono stati eseguiti solo gli interventi di messa in sicurezza d'emergenza e il piano di caratterizzazione dell'area Fibronit, mentre queste operazioni preliminari non sono state completate nelle aree Ecored e Fibroservice. Ad oggi, il completamento della bonifica del sito, previsto inizialmente per il 2013, ha già subito un ritardo di almeno un anno rispetto al programma preventivato. Sulla miniera di Emarese, in provincia di Aosta, sito nazionale dal 2001, sono stati realizzati solo gli interventi di messa in sicurezza di emergenza. I ritardi non mancano neanche sulla bonifica della miniera di Balangero (To), classificato come uno dei 15 siti di interesse nazionale addirittura nel 1998. Qui sono stati realizzati solo alcuni interventi di messa in sicurezza d'emergenza sulle due discariche a cielo aperto, sulle vasche di decantazione e degli stabilimenti produttivi dove, a causa della frammentazione delle proprietà, il percorso di risanamento ambientale risulta ancora più difficoltoso».
«Bisogna trovare le risorse economiche per bonificare i "siti orfani" (gli stabilimenti produttivi di aziende fallite) attraverso la creazione di un Fondo nazionale sul modello del "Superfund" statunitense - sottolinea Ciafani - e mettere in campo una campagna informativa sui rischi derivanti dall'esposizione alle fibre di amianto dovuta al deterioramento e allo smaltimento illegale delle strutture in cemento-amianto dismesse. Non c'è tempo da perdere per fare giustizia, riconoscere i diritti delle vittime e delle loro famiglie, e evitare che tutto questo possa ripetersi ancora nel futuro».