
[09/11/2009] News
LIVORNO. I Climate change talks di Barcellona si sono chiusi senza progressi per un accordo a Copenhagen, stessa sorte é toccata al vertice di G20 di Saint Andrew, in Scozia, che ha come al solito detto che la lotta al cambiamento climatico è urgentissima, ma poi si è diviso tra Paesi ricchi ed emergenti sui finanziamenti per attuarla davvero. Naturalmente in Gran Bretagna i ministri delle finanze del G20 hanno detto nel loro comunicato finale che «Siamo impegnati a prendere delle misure per lottare contro la minaccia del cambiamento climatico e a operare per un risultato ambizioso a Copenhagen conformemente agli obiettivi, alle disposizioni ed ai principi della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico», ma poi, né in Scozia né in Catalogna, quelle misure hanno davvero preso corpo.
Eppure le 20 più grandi potenze economiche del Pianeta, responsabili di gran parte dell'inquinamento del mondo, riconoscono che senza finanziamenti e tagli di gas serra certi Copenhagen sarà un fallimento: «Ci impegniamo a proseguire gli sforzi per quel che riguarda il finanziamento alla lotta contro il cambiamento climatico (Unfccc), a definire delle opzioni di finanziamento e degli "arragements" istituzionali», si legge nel comunicato di Saint Andrew.
Tutti riconoscono la necessità di aumentare in maniera significativa i dollari e gli euro (pubblici e privati) da mettere a disposizione per un accordo ambizioso ed efficace a Copenhagen, il problema vero è che nessuno vuole tirarli fuori dalle tasche mentre l'uscita dalla crisi sembra ancora una volta più finanziaria che reale, più delle grandi imprese che del lavoro. Lo sa anche Alistair Darling, il ministro delle finanze britannico, che ha avvertito i suoi colleghi: «Senza un accordo sul finanziamento e sui contributi che garantiscano di affrontare questo problema, l'accordo di Copenhagen sarà molto, molto più difficile».
Però, mentre tutti dicono che bisogna muoversi alla svelta, tutti si immobilizzano a vicenda. E' quanto è successo a Barcellona, dove i Climate change talks non sono riusciti a eliminare dall'ultimo tratto di cammino verso Copenhagen ostacoli e incertezze. Nella capitale catalana sono stati fatti solo pochissimi progressi sugli obiettivi a medio termine di riduzione della CO2 nei Paesi sviluppati e sugli aiuti ai Paesi in via di sviluppo per l'adattamento e la lotta ai cambiamenti climatici. Secondo il segretario esecutivo dell'Unfccc, Yvo de Boer, «Senza regolare questi due pezzi del puzzle, non avremo un accordo a Copenhagen. E' necessaria una leadership al più alto livello per sbloccare la situazione. Mi aspetto che i paesi industrializzati rispondano alla portata delle sfide che abbiamo davanti». De Boer ha chiesto ai Paesi sviluppati di «Precisare i finanziamenti a breve e lungo termine che potrebbero offrire in favore dei Paesi in via di sviluppo». La risposta venuta dal G2'0 è stata: «Non lo sappiamo».
Però de Boer non perde le ultime speranze: ««Copenhagen può e deve essere un punto di svolta nella lotta internazionale contro il cambiamento climatico. Resto sempre fiducioso che ci si arriverà. Una combinazione forte di impegni e compromessi può e deve rendere possibile questo. I negoziatori dovranno presentare un testo definitivo e mettere in campo una struttura competente e operativa a Copenhagen per procedere ad azioni rapide - ha detto ai giornalisti - Da qui a Copenhagen, i governi devono dimostrare la necessaria chiarezza per aiutare i negoziatori a completare il loro lavoro». Secondo Yvo de Boer, I Paesi sviluppati dovrebbero dare immediatamente almeno 10 miliardi di dollari a quelli in via di sviluppo per moltiplicare strategie di adattamento e crescita a basse emissioni e per aumentare il loro, livello tecnologico. Ma a Barcellona i Paesi sviluppati hanno proposto un nuovo testo che sostituisca il Protocollo di Kyoto e non hanno accettato quel che chiedono loro i Paesi "poveri": obiettivi più alti di riduzione dei gas serra e aiuti finanziari veri e massicci.
Come al solito l'Europa sembra in mezzo ai due fuochi. Anders Turesson, a capo della delegazione svedese e che rappresentava la presidenza di turn o dell'Ue ha detto che «L'obiettivo dell'Unione europea è un trattato giusto, globale e giuridicamente obbligatorio, che sarà applicabile a tutti i Paesi». Insomma, la botte piena e la moglie ubriaca, almeno a quel che pensa Lumumba Stanislaus Di-Aping, il sudanese attivissimo nel G77 + Cina a Barcellona: «La ragione per la quale alcuni Paesi sviluppati vogliono un nuovo testo consiste nel forzare le economie emergenti, o i principali Paesi in via di sviluppo a prendersi degli impegni obbligatori per ridurre le emissioni di CO2, e per dividere il mondo in via di sviluppo. Alcuni altri Paesi sviluppati tentano di far abbassare il livello dei loro impegni in materia di riduzione delle emissioni di CO2».
Anche la Cina è preoccupata è per la mancanza di progressi a Barcellona, dove una sua autorevole negoziatrice, Li Ting, ha detto: «Non abbiamo fissato gli obiettivi per gli impegni della seconda fase del Protocollo di Kyoto. Siamo coscienti che questo è al centro del nostro fallimento». Gli stessi concetti sono stati espressi dai Paesi più poveri, come Benin, Lesotho, Zambia, Isole Salomone, nella sessione di chiusura a Barcellona. Il capo del G77, Ibrahim Mirghani Ibrahim, spiega che il suo gruppo di Paesi in via di sviluppo «Si oppone fermamente a tutte le iniziative dei Paesi sviluppati di avviare un accordo che in ogni modo rimpiazzi il protocollo di Kyoto o lo renda ridondante».
Secondo Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia del Wwf Italia e che era presente a Barcellona «I politici sembrano ossessionati dall'affermare cosa non potranno fare, invece di alzare il tiro su come possono salvare il mondo da un catastrofico aumento delle temperature. Stanno dicendo tutte le cose sbagliate, ma hanno ancora l'opportunità di prendere le decisioni giuste. A Barcellona non sono stati raggiunti risultati eclatanti, ma è stato mantenuto il passo di un progresso lento e costante. La questione cruciale non è il tempo rimasto ma la volontà politica, e questa può essere dimostrata in pochi secondi. Mentre i rappresentanti politici dei Paesi industrializzati cercavano di abbassare le aspettative, le aspettative del mondo al contrario si alzavano. La presidenza danese deve creare un livello di ambizione coerente con la gravità della crisi climatica e con la volontà della maggior parte del mondo. Cercare di compiacere gli Stati Uniti e altri Paesi industrializzati con la vaghezza di linguaggio non ci darà il trattato sul clima di cui il mondo ha urgentemente bisogno. Insinuare l'idea che il trattato prodotto a Copenhagen non vincolerà i Paesi all'azione contro l'emergenza clima è del tutto controproducente. Serve un trattato sul clima che sopravviva alle recessioni, alle elezioni e ai disastri naturali. Non un pezzo di carta che sarà dimenticato al prossimo cambio di governo a Londra, Tokyo o Washington».
Greenpeace ha concluso i Climate change talks di Barcellona alla sua maniera, fasciando la statua di Cristoforo Colombo, che dalle Ramblas indica l'America di Obama, con uno striscione con su scritto "Caos climatico, di chi è la colpa?", per far diventare quel dito puntato un monito al Paese maggiore responsabilità del riscaldamento globale e oggi del blocco dei negoziati.
Secondo Martin Kaiser, direttore delle politiche climatiche di Greenpeace International, «Il fallimento di Copenhagen è una seria possibilità. Se alle parole di Obama, Merkel, e Sarkozy, non seguiranno impegni concreti, l'accordo non si farà certo da solo. Tuttavia, tutti i pezzi sono sul tavolo, c'è ancora tempo, e sappiamo bene come deve essere un accordo giusto, ambizioso e legalmente vincolante». Damon Moglen, di Greenpeace Usa, rincara la dose: «Crediamo che il Presidente Obama non abbia mantenuto le promesse fatte. In America, è stato a guardare mentre il Congresso permetteva alle lobby di petrolio e carbone di affossare la neonata legislazione sul clima. A livello internazionale, è stato in silenzio mentre i negoziatori americani bloccavano il più importante trattato sul clima di tutti i tempi».