
[10/11/2009] News
LIVORNO. Sostenibilità e business, quanto è difficile trovare la quadra. In barba a semplificatori, decrescitori e ambientalisti anche convinti, è bene riflettere a lungo su questa frase: «La flessione dei consumi che ha investito i mercati internazionali e principalmente l'Europa minaccia anche la disponibilità di legno da riciclo, e quindi l'industria dei produttori di pannelli». Lo sostiene Assopannelli, l'associazione di FederlegnoArredo che riunisce i fabbricanti di pannelli e semilavorati in legno, raccogliendo così l'allarme lanciato anche durante Ecomondo, la fiera internazionale del recupero di materia ed energia e dello sviluppo sostenibile, che richiamava l'attenzione sulla situazione di difficoltà che sta colpendo il settore.
In particolare, spiegano in una nota, il problema nasce dal «calo dei consumi di quei prodotti, come i mobili, destinati a fine utilizzo al riciclo», che viene stimato «tra il 25% e il 30% dal 2007 a oggi. Ciò determina una crescente scarsità del legno da riciclo, materia prima che sta alla base della produzione di pannelli truciolari».
La riduzione della disponibilità di legno da riciclo - proseguono - determina pertanto una crisi dell'industria dei pannelli truciolari, principale cliente del legno da riciclo, e in particolare di quella italiana, leader sia nella gestione del legno da riciclo sia nello sviluppo di tecnologie avanzate sull'utilizzo in percentuali elevate di questo materiale nella produzione di pannelli.
Le aziende del settore si trovano in questo modo nella difficoltà di rispettare i contratti di fornitura e di soddisfare la domanda di pannelli, con l'innescarsi di un circolo vizioso che si ripercuote sull'andamento dei consumi delle famiglie.
A ciò si aggiunga anche la domanda del legno a uso riscaldamento, in questi mesi in crescita sia per l'arrivo anticipato del freddo sia per la politica a sostegno di fonti alternative di calore, che determina uno spostamento della risorsa legno da un utilizzo industriale a un utilizzo come risorsa energetica.
Ce ne è abbastanza per fermarsi a riflettere partendo dall'orizzonte che guida il nostro lavoro: la sostenibilità ambientale e sociale. Essa si basa sulla necessità di ridurre fortemente i flussi di materia e di energia per evitare che l'ecosistema collassi. Per la legge dell'entropia nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma degradandosi. Dunque dalla materia prima "scarti" ci saranno sempre e di questi bisognerà nei secoli occuparsene.
Ma se l'obiettivo è quello di ridurre i flussi (consumi), conseguentemente si ridurranno anche gli scarti. Se questo non accade significa che non si sta riuscendo nella pratica della sostenibilità. Per far funzionare questo ciclo bisogna quindi avere in testa l'idea che questo si possa avvicinare (non collimare perché pare sia impossibile) a quello chiuso della natura. Una strada difficile ma non impossibile.
Che cosa può far saltare tutta l'architettura di questo percorso virtuoso? L'idea che ogni singolo settore sia a se stante e che debba sempre mirare alla crescita.
Se i consumi devono crescere all'infinito, gli scarti cresceranno all'infinito e dopo aver finito le materie prime del pianeta termineremo anche le seconde. Se invece per tutelare le materie prime, le consumiamo il meno possibile cercando di riutilizzare tutto il riutilizzabile (vedi altro pezzo del giornale di oggi) allora possiamo aspirare a quella sostenibilità che dovrebbe impedirci di tagliare il ramo sul quale stiamo seduti.
Assistiamo invece a dei paradossi che rischiano di uccidere nella culla anche l'economia ecologica. Se infatti essa diventa semplice business (driver della crescita) non c'è speranza per la sostenibilità. Andando oltre il legno raccolto e avviato al riciclo, le cose non cambiano, anzi: se devo vendere più riviste e giornali (vedi Sole24Ore dei giorni scorsi) per avere più carta vergine da produrre e quindi poi da riciclare; se la società che deve gestire l'acqua deve avere sempre almeno consumi costanti per avere il bilancio in positivo; se devo avere sempre lo stesso volume se non maggiore, di rifiuti da avviare al termovalorizzatore perché esso funzioni a regime; ebbene allora siamo fuori da ogni ipotesi di sostenibilità.
Il business è certamente quello che, in una società di mercato, ha fatto diventare un affare, e si spera continui sempre più, investire sulle produzioni verdi e sull'ecosostenibilità.
Ma senza un governo della polis dove sia l'azione degli amministratori appunto a decidere dove arriva il pubblico (con le sue necessità) e dove arriva il privato/mercato (con le sue soluzioni) tutto si ridurrà a domanda e offerta e poi a più domanda e a più offerta, fino alle bolle della super offerta anche quando la domanda è scarsa e dunque incentivi per la domanda, credito al consumo e compagnia cantante. Una "compagnia" che in questo statu quo non potrà che cantare solo il de profundis della sostenibilità.