[10/11/2009] News toscana
LIVORNO. Partiamo da un presupposto: l'utilità della Tav tra Firenze e Bologna e l'utilità dell'autostrada Tirrenica era ed è tutt'altro che scontata. Questo probabilmente è l'unico punto in comune tra la vicenda che oggi torna prepotentemente sotto i riflettori con la stima da parte della corte dei conti dei danni ambientali prodotti dall'alta velocità in Mugello (741 milioni) e la vicenda che invece è ancora tutta da dipanarsi, il nuovo tratto autostradale che sostituirà la variante Aurelia fino a Grosseto: 120 chilometri dove la variante a 4 corsie sarà ridotta a 2, per costruire pochi metri più in là le 6 nuove corsie autostradali... strana alchimia degli sprechi in nome della competitività (sic!).
Ma forse un altro punto in comune c'è, appunto: i danni ambientali. Se è vero che sono serviti anni di lotte e di denunce per arrivare alla decisione della Corte dei Conti, al di là di chi materialmente ne sia responsabile e di chi debba pagarne in solido, si introduce la questione dei danni all'ambiente derivati da interventi antropici. Vexata quaestio in verità, risolta peraltro quasi sempre tramite il costume delle compensazioni ambientali mercanteggiate con istituzioni e comitati locali.
Dare un valore ambientale alle risorse naturali che costituiscono il bene collettivo evidenzierebbe meglio i costi reali di qualsiasi opera pubblica, al di là delle percezioni da una parte e dei freddi grappoli di numeri da cui estrarre il pil dall'altra.
Allora nel caso dell'autostrada tirrenica, e ribadito il dubbio sull'utilità di essa (almeno nel tratto di variante già esistente a 4 corsie Rosignano - Grosseto), viene da chiedersi come sarà possibile ridurre al minimo il danno ambientale che inevitabilmente si produrrà. Per esempio, non vi è solo il consumo di suolo prodotto dal nuovo nastro d'asfalto, ma c'è da tenere in conto anche di come sarà realizzato a monte questo nastro d'asfalto. Allora, ambientalmente sarà più conveniente macerare parte di montagne e colline toscane (o di qualsiasi altra parte del mondo) come per esempio è avvenuto e avviene in val di Cornia sul monte Calvi (magari per cementificare di seconde case e porticcioli turistici), oppure utilizzare materiale di scarto, materia prima seconda dunque, controllata e validata come adatta allo scopo senza pericoli per la salute dei cittadini, preservando dunque montagne e colline?
Ebbene, questa seconda strada, è (a parer personale di chi scrive), l'unica cosa buona che c'è in tutto l'assurdo progetto di autostrada tirrenica: se questa autostrada verrà fatta, la regione ha deciso che utilizzerà per il sottofondo stradale parte dei rifiuti provenienti dalle acciaierie della Lucchini. Ipotesi che ha fatto gridare alla bomba ecologica da Medicina democratica di Rosignano perché questa operazione creerebbe una discarica diffusa (si badi bene: la bomba ecologica non è l'autostrada a 6 corsie fatta dopo aver distrutto la variante a 4 corsie, bensì l'utilizzo di rifiuti industriali nel sottofondo autostradale, secondo sic!). Insomma, ancora una volta in nome di un'interpretazione estremizzata del principio di precauzione, in questo paese sottosopra il massimo dell'antagonismo coincide con il massimo della dissipazione delle risorse naturali.
Premesso fra l'altro che piano regionale speciali, piano regionale attività estrattive e delibera regionale impongono (imporrebbero) il riutilizzo rifiuti al posto di materia vergine e premesso anche che la piattaforma Tap (progettata da Arrr su input della Regione) tratta appunto il mix di scarti (tra cui loppe, polveri e scorie di acciaieria e di altoforno) che miscelati a materiale inerte e addizionati con sostanze reagenti permetteranno di ottenere un prodotto finito riutilizzabile per vari scopi, in particolare sottofondi stradali, che cosa accadrà (o accadrebbe) se invece questi rifiuti non saranno (non fossero) utilizzati?
Dal punto di vista del danno ambientale dovremmo aggiungere a tutto il resto anche l'impatto derivato dall'estrazione di materiale vergine, quindi la distruzione di ecosistemi, flora e fauna, paesaggio. Ma soprattutto quella parte di rifiuti della Lucchini che fine farà (farebbe)? Tralasciando il fatto che non più tardi di un paio di anni fa fu sequestrata nelle aree Lucchini una ‘collinetta' alta 7 metri e lunga una dozzina di chilometri fatta di scarti industriali, il milione di tonnellate di rifiuti che più o meno ogni anno lo stabilimento di Piombino produce, segue le dinamiche di mercato: la Lucchini vende ciò che è riutilizzabile quando è possibile, scarta quello che non lo è e lo consegna al circuito dello smaltimento: ovvero l'acciaieria paga qualcuno per farseli portare via e questo qualcuno se ci riesce paga qualcun altro perché se ne faccia carico e li riutilizzi (nella migliore delle ipotesi) oppure li smaltisca. Come? Visto che la capacità complessiva di trattamento dei rifiuti in Italia è altamente deficitaria e quindi andare a trattare o smaltire correttamente all'estero ha un costo molto alto, capita (molto spesso?) che questi rifiuti "spariscano" nel modo più economico, cioè finendo in qualche vallata (in qualche parte del paese o del pianeta) oppure in fondo al mare (come le cronache di questi giorni confermano).