[23/11/2009] News toscana
FIRENZE La presentazione del libro "Zeppelin", di Enrico Falqui, Anna Bartolaccio e Paola Pavoni avvenuta nella sede dell'Ordine degli Architetti di Firenze mercoledì scorso è stata occasione di dibattito e riflessione sul tema dell' Urban center di Firenze e più in generale sui problemi della Firenze contemporanea.
L'affluenza e la partecipazione all'evento hanno dimostrato l'urgenza dei temi affrontati e il profondo disagio vissuto dai professionisti che lavorano oggi come pianificatori e progettisti nella nostra città.
Come osservava il professor Falqui nella sua introduzione, ci troviamo infatti in un momento in cui sono in atto trasformazioni urbane di portata eccezionale per Firenze, ma né le amministrazioni né la cittadinanza sembrano pronte ad affrontarle e a gestirle in modo efficace. La riflessione sull'argomento è ora più che mai opportuna: gli urban center tuttora più attivi in Italia, anche se molto diversi tra loro, hanno in comune il fatto di aver visto la luce contestualmente a grandi eventi che stavano modificando gli equilibri delle rispettive città.
Innanzitutto, il tema dell'identità. Quella fiorentina è di fatto una realtà metropolitana, ma la sua gestione continua ad essere frammentata: ogni amministrazione rivendica egoisticamente la sua centralità rendendo impossibile un'analisi (e soluzione) di problemi la cui scala è ben più vasta del piccolo patch. Questo atteggiamento, insieme alla mancanza di sinergia tra i vari livelli di pianificazione, rende impossibile la realizzazione di una città sostenibile, anzi alimenta i conflitti esistenti.
Compito dell'urban center è quello di analizzare e mediare questi conflitti, proponendosi come strumento di interpretazione e incontro delle molteplici realtà che animano il nostro territorio; fondamentale il suo ruolo di divulgazione e di informazione per infondere un senso di partecipazione nella cittadinanza.
L'urban center deve essere il fulcro di una rete dei luoghi di produzione di arte e architettura dell'area metropolitana: luoghi e strumenti produttivi di una cultura della contemporaneità.
Solo una città capace di riflettere su se stessa può crescere intellettualmente, produrre cultura, e sentirsi nuovamente all'altezza di competere con le grandi città d'arte nel mondo globalizzato.
In questo senso l'urban center ha anche un ruolo pedagogico: in Italia manca completamente una cultura della partecipazione; il cittadino non ha la sensibilità civica di percepirla come un diritto/dovere, come un esercizio di democrazia. La cosa più simile alla partecipazione che conosce è il comitato di zona, che si mobilita esclusivamente quando un gruppo vede a rischio certi suoi interessi.
Ciò suggerisce un altro spunto di riflessione: la necessità di creare con delle leggi le condizioni perché gli abitanti siano chiamati, oltre che legittimati, ad esprimere le loro istanze nei processi di trasformazione della città, così che l'intervento dei cittadini -mediato e regolamentato- non sia più un fatto eccezionale e necessariamente negativo, "contro" qualcosa, ma cominci a far parte degli aspetti da considerare nello sviluppo di un progetto.
L'Ordine e la Facoltà di Architettura possono essere luoghi ideali di confronto e di incontro per lo sviluppo della cultura della contemporaneità e la sua divulgazione, ma sicuramente è necessaria un'efficace attività di fund raising, in quanto difficilmente l'amministrazione pubblica potrebbe finanziare interamente l'operazione.
Quello dei fondi è un altro punto fondamentale perché l'indipendenza politica è una condizione imprescindibile per garantire la terzietà e il senso stesso del lavoro di un urban center: se alimentato solo da fondi pubblici è troppo alto il rischio che diventi mera cassa di risonanza dell'Amministrazione che lo sostiene, e che la volontà partecipativa si risolva alla fine in un ennesimo passaggio burocratico.
Purtroppo il tema della sostenibilità è stato lasciato da parte nel corso della discussione; evidentemente la strada è ancora lunga perché questo sia percepito come una questione prioritaria -di sopravvivenza!- e non un lusso da concedersi una volta risolti gli altri problemi, o da ricordare tra lacrime di coccodrillo di fronte a disastri ormai avvenuti. E' importante cambiare il modo di pensare di tutti perché possa radicarsi una cultura della responsabilità che cambi le consuetudini e diffonda la consapevolezza dell'entità dell'impatto che il nostro stile di vita ha sul nostro stesso futuro.
La sostenibilità dello sviluppo deve diventare un paradigma dello sviluppo della città, al pari della crescita economica e culturale. Compito dell'urban center è anche quello di creare e diffondere questa nuova sensibilità, e quindi dare ai cittadini gli strumenti per valutare e accogliere i nuovi progetti con una visione contemporanea della conservazione oltre che dell'innovazione con l'intento di creare un circolo virtuoso che responsabilizzi sia i progettisti che i fruitori.