[26/11/2009] News

La Nuova Zelanda approva il suo emission trading plan

LIVORNO. Ieri il parlamento neozelandese ha approvato, con diversi emendamenti, la legge per ridurre le emissioni di gas serra. Si tratta del secondo emission trading plan approvato al mondo dopo quello dell'Unione europea.
Il voto è stato molto tribolato, visto che il governo conservatore minoritario del National party è riuscito ad approvare la legge sul clima solo dopo aver conquistato l'appoggio del piccolo Maori party al costo di notevoli concessioni.

E' comunque soddisfatto il ministro per il cambiamento climatico Nick Smith: «E' un primo passo essenziale e importante nel nostro sforzo nazionale per fare la nostra giusta parte nella lotta ai cambiamenti climatici».
In realtà lo schema proposto dal governo è il frutto di una pesante revisione del progetto di carbon trading plan, una scelta molto criticata perché ritenuta troppo favorevole ai grandi emettitori di CO2 e per gli ulteriori due anni di tempo che vengono concessi alla potente lobby degli allevatori di bestiame per iniziare ad adeguarsi.

Tutti gli altri partiti presenti nel parlamento di Wellington hanno votato contro, con in testa laburisti e verdi che hanno bollato le misure proposte come insufficienti. Jan Wright, un consulente ambientale indipendente del Parlamento, ha detto a NZ Radio che è convinto che il nuovo piano del governo neozelandese dia «troppi carbon credits agli inquinatori e toglie gli incentivi alle tecnologie low-carbon technology. E' praticamente certo le nostre emissioni cresceranno e l'onere per il contribuente sarà enorme». Le associazioni ambientaliste dicono che il piano non è adeguato, non tiene conto delle responsabilità dei grandi inquinatori e della necessità di trovare il modo di costringere le loro imprese a ridurre le emissioni. Ma non è un caso se l'industria neozelandese ha fortemente appoggiato le modifiche proposte dal National Party.

Le emissioni totali della Nuova Zelanda sono aumentato del 24% dal 1990-2008, ma il Protocollo di Kyoto prevede che non aumentino rispetto ai livelli del 1990 nel periodo 2008 - 2012.

I giochi non sono ancora fatti e potrebbero essere ancora più deludenti: la Nuova Zelanda si è data un obiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra tra il 10 e il 20% per cento entro il 2020 rispetto ai livelli del 1990, ma il livello reale dipenderà dai risultati della Conferenza sul cambiamento climatico di Copenaghen e da come finiranno, probabilmente in Messico nel 2010, i negoziati finali sul post-Kyoto, soprattutto se i Paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo si impegneranno con obiettivi quantificabili ed obbligatori per tagliare la CO2.

Se è vero che la Nuova Zelanda, con una piccola popolazione di 4 milioni e mezzo di abitanti, produce solo una piccola frazione delle emissioni di origine antropica, è anche vero che le sue emissioni pro-capite sono state nel 2007 di 16 tonnellate, superiori a quelle di alcuni paesi europei, e che circa la metà dei gas serra provengono dall'agricoltura e in particolare dall'allevamento del bestiame.

La decisione della Nuova Zelanda era molto attesa dai piccoli Paesi insulari del Pacifico, per i quali è un gigante economico e demografico, ma il governo di Wellington fa il furbo e se i laburisti non piacciono in casa sono molto "comodi" in Australia. Infatti il National party ha risposto alle critiche dicendo di essersi allineato al governo di Canberra che sta esaminando (con l'opposizione dei conservatori) un carbon trade scheme che prevede forti compensazioni per i grandi inquinatori come le grandi industrie del carbone e dell'energia elettrica.

E se in Australia la battaglia parlamentare non è ancora finita, in Nuova Zelanda i business man brindano alla fine dell'incertezza e cominciano a pensare ad investire nella silvicoltura, uno dei settori che godrà maggiormente dei contributi del nuovo carbon market, guadagnando così da una parte inquinando e dall'altra disinquinando.

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