[30/11/2009] News
LIVORNO. Secondo la bozza d'accordo messa a punto dal governo Danese per il summit mondiale sul clima che ospiterà dal 7 al 18 dicembre a Copenhagen, entro il 2050 le emissioni di gas serra dovrebbero calare del 50% rispetto ai livelli del 1990.
Il testo danese dovrebbe essere la base dell'accordo politico di Copenaghen che dovrebbe preparare l'accordo tecnico-scientifico da firmare nella Cop 16 dell'Unfccc in Messico nel 2010. Non si tratta certo di una grande novità visto che, come sospettavano molti Paesi in via di sviluppo, fa proprie le buone intenzioni di G8 e Major economies forum: meno 80% di emissioni nei Paesi industrializzati entro il 2050, uno spazio di tempo (e un impegno troppo diluito ed affidato a governi futuri) che forse renderanno difficile ottenere davvero l'altro impegno confermato dalla bozza danese: un aumento medio della temperatura globale entro i 2 gradi. Non sembrano infatti esserci quegli obiettivi intermedi che chiedono Paesi emergenti e in via di sviluppo e, seppure sempre più flebilmente, l'Unione europea.
Che ormai il problema sia puramente economico lo pensa anche il segretario dell'Unfccc Yvo de Boer che ha detto all'Afp: «Del denaro sul tavolo, forse 10 miliardi di dollari all'anno o più, potrebbe contribuire a chiudere un accordo in Danimarca il mese prossimo e di ottenere che i colloqui sul clima si avviino verso un nuovo trattato globale nel 2010. Ma se le nazioni più povere su troveranno davanti ad offerte troppo piccole, la conferenza delle Nazioni Unite potrebbe finire in discordia. I paesi ricchi devono mettere almeno 10 miliardi di dollari all'anno sul tavolo per avviare un intervento immediato fino al 2012».
L'appello di de Boer è stato accolto dal presidente francese Nicolas Sarkozy e dal primo ministro britannico Gordon Brown che ha detto che potrebbe contribuire con 1,3 miliardi dollari in tre anni.
«Lo farà anche il resto dell'Europa - ha detto Brown al summit del Commonwealth a Trinidad e Tobago - E credo che l'America farà altrettanto
Secondo Athena Ballesteros esperto di finanzia climatica del think tank Usa World Resources Institute, «Finanziamenti "short-term" potrebbero essere usati come opportunità per ottenere un political buy-in per gli altri elementi per un accordo».
Il problema è che mentre si discute di soldi anche l'ultimo rapporto reso pubblico dall'Onu evidenzia che i cambiamenti climatici stanno avvenendo più rapidamente del previsto. Le temperature globali sono in aumento in media di 0,19 gradi negli ultimi dieci anni e il livello degli oceani sta salendo ogni anno di 3,4 millimetri, molto più velocemente del previsto.
Per de Boer 10 miliardi di dollari l'anno fino al 2012 sono appena quel che è necessario per cominciare a parare i colpi più duri del global warming nelle piccole isole e nei Paesi più vulnerabili, ma, ha detto all' Associated Press, «La kick-start finance è molto importante, in quanto tali finanziamenti permetteranno ai Paesi in via di sviluppo di poter pianificare», di fare quel che i documenti sul clima chiamano "capacity building": formazione e pianificazione, ricognizione dei bisogni e delle emissioni locali legate allo sviluppo necessario. Un prezzo da pagare per ricostruire la fiducia tra il nord ricco e sud povero del pianeta, compromessa da anni di non-fare di Bush che nemmeno la prudenza di Obama è riuscita a ripristinare. .In molti si aspettano che l'Ue metta sul tavolo di Copenhagen almeno 5 miliardi di dollari anno, dal Giappone potrebbe arrivare un miliardo di dollari ed altrettanto potrebbero fare i non certo generosi Usa, dove il Congresso sta discutendo di finanziamenti tra 1 e 1,3 miliardi dollari per gli aiuti internazionali sul clima. Ma The Guardian mette oggi in guardia da facili ottimismi e svela il contenuto di documenti riservati provenienti dal gruppo dei negoziatori climatici dell'Ue che proverebbero che l'Unione europea non può davvero garantire i nuovi fondi aggiuntivi per aiutare i Paesi in via di sviluppo ad adattarsi ai cambiamenti climatici. «Gli aiuti esistenti all'estero potrebbe essere incanalati lontani dalla loro funzione originaria di aiuti per il clima, e non sarebbero soddisfacenti per i Paesi in via di sviluppo - dice Rob Bailey, Senior Policy Adviser dell'Ong Oxfam - I Paesi non sviluppati non firmeranno un accordo che non possa dare denaro extra a tutti loro. L'Unione europea e gli altri paesi ricchi devono fornire finanziamenti nuovi e aggiuntivi, altrimenti non ci sarà alcun accordo per tutti».
La distanza tra le promesse dei Paesi ricchi, le speranze di de Boer e le richieste dei Paesi in via di sviluppo sono siderali: secondo quest'ultimi ci vorrebbero minimo di 400 miliardi di dollari l'anno entro il 2020 per l'adattamento al cambiamento climatico.
«La storia dimostra che, anche se i Paesi ricchi hanno promesso finanziamenti per l'adeguamento climatico, non sempre questo è avvenuto - dice The Guardian - Nel 2001 Unione europea, Canada, Norvegia, Svizzera, Islanda e Nuova Zelanda hanno promesso 410 milioni di dollari l'anno dal 2005 al 2008 per tale scopo. Finora è stato consegnato appena il 10%».
In serata è intervenuto anche il ministro italiano Stefania Prestigiacomo: «Le indiscrezioni diffuse oggi sulla bozza di accordo proposta dalla presidenza danese per la conferenza di Copenaghen e le reazioni da parte indiana indicano come il negoziato sia giunto ormai al cuore del problema: il rapporto fra paesi industrializzati e paesi emergenti. Ed il susseguirsi di aperture ed irrigidimenti va letto anche nell'ottica della trattativa in corso.
Probabilmente fra due settimane a Copenaghen non sarà firmato un accordo legalmente vincolante. Sarà invece possibile raggiungere una intesa politica forte che rimandi ad un trattato vincolante a breve. E questo non sarà certo un fallimento ma il primo dei due tempi di un accordo storico sul clima condiviso da tutti i paesi del mondo».