[01/12/2009] News
GINEVRA. Alla fine degli anni ottanta, a Pwalugu, in Ghana, il Governo locale finanziò la nascita e lo sviluppo di una locale industria di conserve di pomodoro. Sorta in una zona estremamente fertile, creò le condizioni per il consolidamento dei piccoli contadini che in quella fabbrica vedevano uno sbocco di mercato per le loro produzioni locali.
Nel 1989, la fabbrica di Pwalugu e molte altre in Ghana furono chiuse sotto indicazione di Banca Mondiale e Fondo Monetario: i Piani di aggiustamento strutturale indicavano la direzione per un'economia molto più efficiente nel produrre ricchezze. E nel ripagare il debito.
Nel momento della sua chiusura a Pwalugu si producevano oltre 100 tonnellate di conserve al giorno ed erano impiegati 60 lavoratori permanenti e 100 temporanei.
L'apertura del mercato ghanese ai prodotti di importazione, permise l'entrata nel Paese di prodotti sussidiati con centinaia di milioni di euro dall'Unione Europea, soprattutto italiani, ed il Ghana si è lentamente trasformato nel più grande importatore africano di concentrato di pomodoro, con importazioni che toccano le 10mila tonnellate per anno. Lasciando a piedi molti piccoli produttori locali che non riescono a reggere la concorrenza di prodotti a così basso prezzo.
La conserva di pomodoro è un esempio di quello che è accaduto, ed accade tutt'ora, al tessuto produttivo e sociale locale nell'aprire e liberalizzare i mercati. A fianco delle conserve sussidiate dall'UE possiamo affiancare il mais sussidiato proveniente dalle produzioni statunitensi, utilizzato soprattutto come mangime per gli animali ed importato a basso prezzo (costa fino ad un terzo del mais locale), contribuendo così alla distruzione delle produzioni del posto.
Paesi ridotti ad essere importatori netti di alimenti a causa di politiche che hanno disarticolato le tutele, i sostegni e le politi che di sviluppo ai prodotti locali. E che sono diventati facile vittima di una crisi che, a causa di una finanza oramai per gran parte speculativa, ha cominciato ad esplodere con i prezzi delle materie prime agricole o, in parole povere, del cibo. Che ha permesso di allontanare ancora di più, semmai ce ne fosse stato bisogno, il raggiungimento degli Obiettivi del Millennio tra cui il dimezzamento della fame entro il 2015.
Davanti a tutto questo le parole di Pascal Lamy, direttore della Wto, l'Organizzazione Mondiale del Commercio, davanti alle Ong poco prima dell'inaugurazione della settima conferenza ministeriale sembrano una beffa: "nessuna responsabilità di questa crisi al commercio che, al contrario, ne è una vittima".
Le ricette sono sempre le stesse: apertura dei mercati, liberalizzazioni. Anche in questa ministeriale di Ginevra dove tutto sembra sospeso, dove persino il direttore generale ritiene questo un passaggio di riflessione, dove nulla si negozierà e nulla si deciderà, il mantra del libero mercato non ha perso il suo appeal. O, per lo meno, basta non chiederlo ai ghanesi.