[02/12/2009] News toscana
FIRENZE. Un sistema di contrappesi tra loro integrati e la cui dinamica è complementare, nel senso che la forza di alcuni è a sua volta di contributo alla debolezza di altri. Questa sembra essere, ad una prima lettura, la nostra regione come viene disegnata nel documento di sintesi del rapporto "Toscana 2030" pubblicato ieri da Irpet.
Il rapporto, come ricorda nell'introduzione il direttore di Irpet Nicola Bellini, vede come ragionamento centrale da compiere «quello sulla sostenibilità dello sviluppo», sostenibilità intesa «nel senso più ampio: ambientale, ma anche economica, politica e sociale». Una sostenibilità riguardo alla quale, nel parere della dirigenza di Irpet, sussistono «forti dubbi», nel senso che il mantenimento di quelle certezze che bene o male hanno caratterizzato lo sviluppo della Toscana negli ultimi decenni (alto livello di benessere, qualità territoriale, coesione sociale, capacità innovativa/vocazione imprenditoriale) non è elemento dato per scontato.
Mettendo da parte i più specifici ambiti inerenti alla sola sostenibilità ambientale e alla politica del territorio, su cui ritorneremo nei prossimi giorni e che comunque - com'è ovvio e giusto - percorrono un po' tutte le pagine del rapporto oltre che quelle specificatamente dedicate, appare comunque lampante come il punto di partenza fondamentale per l'analisi del documento sia capire come sbrogliare la matassa del rapporto tra "l'oggi" e il "domani".
Per dirla con le parole pronunciate ieri dal presidente regionale Martini, cioè, è necessario capire come affrontare «il rapporto tra la gestione dell'emergenza e la tutela delle possibilità di sviluppo futuro»: questo perché, ad esempio, «il vero shock sul mercato del lavoro arriverà tra il 2010 e il 2011, in ritardo rispetto ad altre realtà, e poi esploderà la questione dell'accesso al credito, poiché le imprese che chiederanno risorse alle banche saranno in gran parte col bilancio in rosso: e lì cascherà l'asino».
In questo senso è chiaro che le sfide comprese nel perseguimento della sostenibilità sono tra le più coinvolte in questa dialettica tra l'oggi e il domani, ad esempio per le questioni legate a quali ambiti di investimento il Pubblico debba sostenere nel momento dell'allocazione delle risorse: anche se in alcuni settori (per dirne uno: l'energia) gli investimenti per l'oggi e per il domani sono per vari versi coincidenti, ciò in primo luogo non vale in tutto e per tutto, e comunque in altri settori (pensiamo all'infrastrutturazione) la forbice tra "utilità dell'oggi" e "utilità per il domani" si allarga sensibilmente in conseguenza delle diverse scelte che possono essere compiute.
Perché se è vero (e il rapporto Toscana 2030 appare un po' ambiguo a questo riguardo, come vedremo nei prossimi giorni) che la Toscana è caratterizzata da un deficit infrastrutturale, un deficit che - come Irpet stesso sottolinea - non emerge dagli indicatori sintetici ma che è riscontrabile «ad un'analisi più dettagliata, integrando informazioni statistiche diverse sulla funzionalità della rete e sulla capacità di collegamento», allora occorre ragionare a fondo su quali ambiti di questo fondamentale ingranaggio del motore economico occorra davvero investire: ed è chiaro che, se la ricetta che viene perseguita dai decision makers è quella di un rilancio del mattone, di nuove strutture portuali, della mobilità privata, le conseguenze sull'oggi potrebbero (ribadiamo: potrebbero, perché non è nemmeno certo che così sarebbe) essere ingenti ad esempio in termini occupazionali, ma verrebbe minato oltre il necessario quel surplus di competitività che oggi è (e soprattutto, speriamo e crediamo, domani sarà ancor più) rappresentato dall'attrattività del paesaggio toscano: investendo invece - ad esempio - in ambiti legati alla mobilità sostenibile e alla ulteriore valorizzazione delle specificità territoriali, e facendo di questo un elemento centrale - e non solo un "utile contributo" - per l'evoluzione del sistema economico, si andrebbe a sostenere maggiormente la competitività del domani, pur senza trascurare il necessario sostegno a quella dell'oggi, strozzata dalla crisi.
Insomma, in poche parole ciò che va sottolineato è che, se la Toscana può "eccellere nell'eccellenza", cioè porsi come elemento di primo piano nella competizione per la qualità produttiva (elemento che, più o meno, viene visto come punto di forza pressochè da tutti coloro che prendono parte al dibattito sullo sviluppo della Toscana) è proprio perchè essa - a nostro parere - ha dei limiti nel perseguimento della quantità, rispetto ad altre realtà territoriali, dati da motivi culturali e geografici.
E questo discorso, se compreso, può diventare il nuovo paradigma dello sviluppo della regione, che possa contemporaneamente garantirne la solidità economica nel lungo termine ma anche una maggiore compatibilità dello sviluppo con i sistemi sociali, ambientali e paesaggistici del territorio. Se invece questo elemento non sarà tenuto in considerazione, o se resterà ai margini del dibattito, il rischio è che i punti di forza della Toscana mutino progressivamente la considerazione che ricevono, in direzione di un modello di sviluppo che si uniformi a quello praticato (e ritenuto vincente) in realtà di pregio minore e molto meno attrezzate, rispetto alla Toscana, davanti alle sfide del prossimo futuro: se è vero che la Toscana non può garantirsi il futuro, come sostenuto da Martini, puntando al perseguimento di un «modello inerziale» di sviluppo, e quindi scrollando snobisticamente le spalle davanti alle esigenze di rinnovamento e dinamicità, è anche vero che la nostra regione non deve in primo luogo commettere l'errore contrario, e cioè il guardare con invidia, ammirazione, complessi di inferiorità ai modelli di sviluppo adottati in altre realtà, modelli che hanno portato sì una relativa ricchezza, ma soprattutto che hanno aumentato oltremodo la forbice tra questa ricchezza, il benessere dei cittadini e la qualità ambientale. Ed è anche questo un aspetto da cui la Toscana si deve guardare, una vera e propria "diffusione inerziale" di un modello di sviluppo che ormai si sta rivelando insostenibile dovunque esso sia praticato, e davanti al quale la Toscana può e deve opporre la diga rappresentata dalla sua specificità.