[03/12/2009] News
LIVORNO. In un'intervista alla Abc-Radio Australia il direttore dell'Unfcc Yvo de Boer ha detto che Copenhagen già da ora non deve essere considerata un fallimento, visto che si troverà un accordo che prevede obiettivi ambiziosi da parte dei Paesi sviluppati ed impegni a ridurre la crescita delle emissioni da Parte del Paesi emergenti e del mondo in via di sviluppo. Ma de Boer ammette che è improbabile che nella capitale si firmi un accordo vincolante prima del giugno 2010.
De Boer ha risposto a Sarah Clarke di Radio Australia proprio mentre a Canberra opposizione conservatrice e maggioranza laburista si scontrano duramente proprio sugli impegni climatici australiani per il futuro
«Quello di cui la comunità internazionale si preoccupa di più è che il governo australiano si impegni in termini di obiettivi di emissioni, in particolare per il 2020, e naturalmente, la posizione del governo sarebbe notevole se fosse già in atto una legislazione cap and trade, ma che è soprattutto una questione di rilievo nazionale».
La Clarke ha chiesto a de Boer cosa ne pensa di quanto dice una parte dell'opposizione australiana che mette in dubbio le prove scientifiche del global warming e il capo dell'Unfccc non si è tirato indietro, dando una lezione di "laicità" e facendo forse fischiare le orecchie anche a qualche senatore italiano: «No, penso che sia un bene che la scienza venga continuamente messa in discussione. Il cambiamento climatico è una questione molto complessa per la quale dobbiamo continuamente trovare maggiori informazioni. La comunità scientifica ci sta dando segnali molto chiari che siamo responsabili nell'accelerare il cambiamento climatico globale, ma questo non significa che si debba sedersi e prendere tutto ciò che la scienza propone come un valore assoluto».
De Boer ha detto di non ritenere il summit di Copenhagen un fallimento perché è ormai certo che non si firmerà un trattato definitivo: «Penso che si possa ottenere un accordo chiaro a Copenaghen e un accordo che specifichi gli obiettivi 2020 di riduzione delle emissioni per i paesi ricchi e un accordo che stabilisca cosa i principali Paesi in via di sviluppo, come la Cina, intendano fare per limitare la crescita delle loro emissioni. Un accordo che preveda il sostegno finanziario ai Paesi in via di sviluppo e un accordo che specifichi che, durante il corso del 2010, mi auguro entro giugno 2010, tutto questo deve essere messo nel testo del trattato, in modo da ottenere un buon pacchetto giuridicamente vincolante».
Sarah Clarke gli ha chiesto se u questo tipo di accordo riuscirà ad evitare un aumento delle temperature globali superiore ai 2gradi e de Boer ha risposto: «Ciò di cui abbiamo bisogno sono ambiziosi obiettivi di riduzione delle emissioni da parte dei Paesi industrializzati. Per esempio, la comunità scientifica ha detto che se si vuole evitare un aumento di 2 gradi della temperatura, poi i paesi ricchi devono ridurre le loro emissioni tra il 20 e il 40% entro il 2020 e i principali Paesi in via di sviluppo devono limitare la crescita delle loro emissioni al di sotto del "business as usual" di qualcosa tra il 15 e il 30%. Questo è quello che ci ha offerto la comunità scientifica in termini di ciò a cui dovremmo puntare.
E gli obiettivi di Cina Ed Usa sono all'altezza della sfida? Per de Boer «Tenuto conto del fatto che negli ultimi 8 anni c'erano stati cambiamenti veramente piccoli nella politica climatica degli Usa, penso che i target degli Stati Uniti siano ambiziosi e che il presidente Obama debba, ovviamente, mantenersi all'interno della realtà politica con la quale si confronta. In secondo luogo, la Cina ha già in campo una politica nazionale per il cambiamento climatico davvero ambiziosa ed aggressiva ed ha appena fatto offerte al top e piuttosto significative. Quel che ovviamente non so è se la Cina correrò à per miglia davanti agli Stati Uniti o se in questo processo questi Paesi sentono entrambi l'esigenza di compiere uno sforzo paragonabile agli altri».