[04/12/2009] News
FIRENZE. Abbiamo già ricordato nei giorni scorsi come la vicenda del "Climategate" sia sostanzialmente basata sul "sentito dire", nella considerazione mediatica che sta ricevendo, poiché l'enorme mole di materiale rubato dai server della Climate research unit e le normative sulla riservatezza dei dati impediscono (almeno a chi le normative le rispetta...) di pubblicare stralci anche limitati delle corrispondenze rubate. Ciò avviene in Italia e in vari altri paesi del mondo.
Ciò non toglie che, dopo parecchi giorni dall'esplosione del caso, e dopo che le mail ritenute più "significative" sono comunque filtrate nel web 2.0, una maggiore chiarezza sembra farsi strada: e questa maggiore chiarezza investe il fatto che...ancora non è stata fatta chiarezza sulla vicenda. E' stato sollevato un polverone, cioè, che ancora deve posarsi.
Si è invece già posato sulle teste di alcuni climatologi di primissimo piano il fango che è stato artatamente gettato in aria: in special modo, come già detto, in questi giorni sono particolarmente al centro dell'attenzione le figure di Michael Mann (direttore dell'Earth system science center dell'università della Pennsylvania) e di Phil Jones, direttore della Climate research unit stessa.
Gli ultimi aggiornamenti sulla vicenda sono ormai disponibili anche sul sito ufficiale (http://en.cop15.dk/frontpage) della conferenza di Copenhagen, che ormai è ai blocchi di partenza. Ed è questa, peraltro, un'ulteriore dimostrazione di come la questione sia diventata un'ulteriore nemesi che si oppone alla riuscita del summit fondamentale che si terrà nella capitale danese.
Comunque sia, è da riportare che l'università del West Anglia (l'istituzione da cui dipende l'inglese Cru) ha aperto un'inchiesta sulla vicenda dei file rubati, e che lo stesso direttore Phil Jones si è temporaneamente sospeso dalle proprie mansioni fino alla conclusione dell'inchiesta, dichiarandosi favorevole all'apertura di essa. L'indagine, per ora, cercherà di comprendere come si sia svolto l'hackeraggio (o magari come la "talpa" interna alla Cru - perchè non è esclusa nemmeno questa ipotesi - abbia agito per diffondere le corrispondenze), ma non è escluso che, nelle prossime settimane, venga attivato anche un (ulteriore) processo di revisione di documenti e dati climatologici per una (ulteriore) verifica della loro attendibilità.
L'impressione è sinceramente, e alla luce degli sviluppi della vicenda che abbiamo monitorato con attenzione in questi giorni frenetici, ancora quella di una vicenda costruita a tavolino, o comunque che va ad ingigantire fattori non determinanti. Ciò non toglie che alcuni elementi appaiano, in essa, effettivamente dubbi anche riguardo all'atteggiamento di alcuni ricercatori: ma questo sarà solo l'inchiesta a chiarirlo, perchè davvero da frasi estrapolate da un contesto di corrispondenza pluriennale non è possibile capire come siano da interpretare parti che - di per sé - possono apparire ambigue.
Ciò non toglie nemmeno, però, che il fango gettato su Mann (anch'egli favorevole, come dichiarato poco fa all'Associated press, all'apertura dell'inchiesta) e su Jones avrà una notevole influenza sulla conferenza di Copenhagen. Si tratta, infatti, come già detto, di due climatologi di primissimo piano: Jones dirige (o meglio, "dirigeva" anche se la sua cattedra è solo sospesa) uno dei principali centri di ricerca climatologica, mentre il centro di studio diretto da Mann ha compiuto studi sulla ricostruzione delle temperature negli ultimi 1000 anni che sono considerati tra i più attendibili dall'intera comunità climatologica mondiale.
In particolare, per capire l'enorme impatto che la vicenda sta avendo, occorre ricordare come uno dei documenti scientifici più recenti, che avrà ampia eco nei giorni di Copenhagen, è il cosiddetto "Copenhagen diagnosis", che costituisce una sorta di "aggiornamento" dello stato attuale delle conoscenze climatologiche. Essendo Mann uno degli autori del documento (che peraltro sono 27 in tutto), è immaginabile che esso sarà accolto e discusso dai media e dai decisori politici con un approccio ben diverso di quello che si sarebbe avuto in assenza di questo benedetto, assurdo "climategate".
E, quando sarà il momento di evidenziare come sia andato il clima del 2009, la Climate research unit, che sicuramente avrebbe mandato il suo autorevole direttore a spiegare ai delegati di Copenhagen che cosa è avvenuto nell'anno che va a terminare, dovrà spiegare che ha inviato un relatore diverso da quello previsto, perchè il suo direttore è in pratica accusato di aver modificato i dati da cui sono tratti i grafici presentati.
Siamo - è evidente - nel paradosso più squallido. Come sa bene chiunque abbia una minima dimestichezza con le analisi, con le ricerche e con lo stesso metodo scientifico, le valutazioni sullo stato del clima prodotte dalla Cru sono in grandissima parte concordanti con quelle prodotte dalla Noaa, dall'italiana Isac-Cnr, dai centri di ricerca climatica giapponese, indiano, cinese, australiano, e così via. Questo perchè, in campo scientifico e citando il poeta inglese John Donne, dobbiamo ricordare che "nessun uomo è un'isola", nel campo scientifico e climatologico, ma tutti gli studi sono inseriti in un processo di peer-reviewing che fa sì che essi siano tutti parte dello stesso "continente", cioè di un flusso informativo cui contribuiscono - verificando reciprocamente l'attendibilità degli studi "degli altri" - tutti i centri di ricerca accreditati.
La vicenda del Climategate, insomma, non intacca nemmeno minimamente le conoscenze sul clima, sul cambiamento climatico e sul ruolo antropico in esso di cui oggi dispone la scienza, ma va semmai a incidere (giustamente o immeritatamente è da chiarirlo) sulla credibilità di alcuni specifici studiosi, sia pure di spessore.
Eppure, nei giorni venturi in cui si decideranno le sorti della società e dell'economia globale per i prossimi decenni, molti giornalisti, molti politici, addirittura - è certo - molti delegati presenti a Copenhagen ascolteranno le relazioni dei principali climatologi del mondo pensando "ma chissà se è vero". E quindi, anche se la vicenda deve essere ancora chiarita, e anche se essa non può essere definita una vera e propria "bufala" perchè comunque alcuni elementi di essa meritano l'eco che stanno ricevendo, è chiaro che l'obiettivo fondamentale che i "ladri" dei file (e soprattutto i loro mandanti) si prefiggevano sembra essere stato raggiunto.