[10/12/2009] News
LIVORNO. Visto da Washington il minuetto italiano sul rispetto (e l'impunità) per le più alte cariche istituzionali sembra davvero una commedia politica: mentre il presidente Usa (una specie di monarca costituzionale eletto dal popolo) prendeva l'aereo per andare ad Oslo a ritirare il più prestigioso premio del mondo, il Nobel per la Pace, dal partito repubblicano partivano terribili bordate... e nessuno in America si è sognato di dire che si stava facendo fare una brutta figura al Paese perché si attaccava (sconsideratamente ed in modo cialtronesco, tra l'altro) il più potente uomo del pianeta.
L'attacco ad Obama è sulla politica climatica, per tagliargli l'erba sotto i piedi dopo la dichiarazione dell'Environmental potection aency (Epa) che conferma che il global warming danneggia la salute e il benessere degli americani, ma soprattutto per indebolirlo davanti ai Capi di Stato e di governo che dovranno firmare con lui tra qualche giorno l'accordo politico a Copenhagen e per metterlo ulteriormente in imbarazzo di fronte agli inferociti Paesi insulari ed a quelli poveri che accusano gli Usa di essere gli ispiratori e mandanti di della bozza di accordo danese giudicata indigeribile.
La testa d'ariete dell'attacco ad Obama è Joe Barton, repubblicano e membro del Comitato della Camera Usa: «Non sarò uno dei sicofanti che dicono che il cambiamento climatico è il problema più grande che è di fronte al mondo e abbiamo bisogno di fare tutte queste cose draconiane che costeranno posti di lavoro», ha detto all'Afp.
Il buon Barton farà parte della delegazione repubblicana Usa (5 deputati e due senatori) che andrà a Copenhagen con la delegazione ufficiale del Congresso Usa ma poi protesterà contro Obama quando renderà noti i suoi impegni per un nuovo patto globale per la lotta al global warming.
Sarebbe più o meno come se Bersani andasse a protestare davanti al Bella Center di Copenhagen mentre parla Berlusconi... vi immaginate lo scandalo dei giornali "bipartisan" italiani?
Ma il capo della delegazione parlamentare repubblicana a Copenhagen, James Sensenbrenner, va oltre e molto indietro: «L'America ha perso un sacco di credibilità, quando l'allora vice presidente Al Gore promise alla comunità internazionale a Kyoto (nel 1997) qualcosa che sapeva che non avrebbe mai potuto essere approvato dal Congresso. Mi auguro che il presidente Obama non ripeta gli errori di Al Gore».
Insomma, tra le "bugie" di Al Gore e le promesse di Obama, fortunatamente abbiamo avuto il luminoso e rimpianto periodo di George W. Bush, del conservatorismo compassionevole armato e della turbo-globalizzazione che negava ogni problema ambientale. Che il tutto sia finito in una crisi economico-finanziaria, alimentare ed ecologica, globale e senza precedenti, è un dettaglio che non interressa molto la destra repubblicana.
I repubblicani, dopo mesi di rospi dolorosamente ingoiati, sono ringalluzziti dal cosiddetto "Climategate" che brandiscono come una clava, irridendo sia alle riduzioni di gas serra che alla creazione di nuovi posti di lavoro "verdi" ed alla "green economy" proposti da Obama.
Entra a gamba tesa anche la discussa star repubblicana Sarah Palin, già governatore dell'Alaska e candidata alla vice-presidenza nel 2008 dallo sconfitto John McCain. Senza nessun fair-play istituzionale all'italiana, ieri dalle colonne del prestigioso Washington Post ha incitato a boicottare il summit di Copenaghen: «Quel che in realtà Obama spera davvero di portare a casa da Copenaghen è una maggiore pressione perché passi la "cap-and-tax" proposta dai democratici. Si tratta di una mossa politica. L'ultima cosa di cui l'America ha bisogno è una legislazione sbagliata che aumenti le tasse ed il costo del lavoro, in particolare quando la spinta per una tale normativa si basa su ordine del giorno che proviene dalla scienza».
La Palin, che potrebbe essere la candidata alla presidenza Usa per i repubblicani nel 2012, non ha chiaro se le attività antropiche siano responsabili del cambiamento climatico (che ora non nega più) ma aggiunge che «Tuttavia, possiamo dire, per esempio, che i benefici potenziali delle proposte politiche di riduzione delle emissioni sono ampiamente controbilanciati dai loro costi economici».
Alla fine probabilmente l'attacco a testa bassa dei repubblicani farà emergere il misero taglio delle emissioni Usa del 17% entro il 2020, rispetto ai livelli del 2005, votato a giugno dal Congresso, come l'unica concessione che Obama potrà fare a Copenaghen.
Intanto i repubblicani annunciano battaglia dura contro la decisione presa lunedì dall'Epa che definisce la CO2 come un inquinante pericoloso, a prescindere dal dibattito in corso in Senato e lo fanno mettendo in discussione tutti i dati scientifici. Barton ci prova con un trucchetto da imbonitore medievale: «La C02 è inodore, incolore e insapore. Sto producendo C02 parlando con voi. Non è nociva per la salute pubblica, nel senso tradizionale del termine».
I repubblicani cercano alleati in Gran Bretagna, dove è partito il "climategate" delle e-mail trafugate ai ricercatori climatici dell'East Anglia University, ma Daniel Weiss, senior fellow del Center for American Progress, un think-tank della sinistra Usa, dubita che ci riescano, dato che il Partito Conservatore britannico è favorevole al taglio dei gas serra: «Per Obama è ora possibile comunicare in maniera più forte e con tutti. Pochi senatori che cercano di negare ciò di cui il resto del mondo è convinto, che il riscaldamento globale è qui ed è vero, non faranno una gran differenza».
Ieri ha parlato alla Cop 15 di Copenhagen l'amministratrice dell'Epa, Lisa Jackson, che ha spiegato che la decisione della sua Agenzia sui gas serra è complementare alla legislazione Usa e non un tentativo di soppiantare le decisioni del Congresso: «This is not an either/or moment. This is a both/and moment» ha detto la Jackson. L'Epa ha stabilito che le prove scientifiche dimostrano chiaramente che ci sono pericoli per la salute degli americani' e così l'Agenzia federale potrebbe disciplinare le emissioni anche senza l'approvazione del Congresso Usa.
«Abbiamo bisogno di una legge per eliminare ogni incertezza che potrebbe esserci per le imprese - ha detto la direttrice dell'Epa - La ragione per avere una legislazione è quello di prendere il problema dalla testa... Lavoreremo a stretto contatto con il nostro Congresso per approvare una legislazione per ridurre i nostri gas a effetto serra oltre l'80% entro il 2050».
La Jackson ha annunciato «sforzi ragionevoli» e «significativi passi verso il senso comune» degli Usa per tagliare le emissioni, ma non ha fornito dettagli. Intanto il capo della delegazione Usa a Copenhagen, Todd Stern, è alle prese con la rivolta dei Piccoli Paesi insulari guidata dalle Tuvalu ed alla quale si sono uniti subito il G77 + Cina, prima ha sottolineato gli sforzi dell'amministrazione Obama per ridurre le emissioni e poi ha ammesso: «Non abbiamo alcuna illusione che questo sia facile. Ma penso che un accordo stia per essere realizzato, se lo faremo nel modo giusto».