[11/12/2009] News

Medvedev goes to Copenhagen. La Russia tra eco-scetticismo riduzionista e scioglimento del permafrost

LIVORNO. Alla fine a Copenhagen c'è andato anche il presidente della Russia, il Paese che sembra guidare il nuovo fronte degli eco scettici (o di coloro che pensano di poter trarre vantaggio dagli effetti del global warming) e lo Stato da cui molti pensano che sia partito (su commissione?) l'hacking delle e-mail degli scienziati dell'East Anglia University che ha dato il via all'effimero "climategate".

Dmitri Medvedev ha finalmente rotto gli indugi e, ultimo tra i grandi del pianeta, ha deciso che raggiungerà gli altri 110 Capi di Stato e di governo il 17 e 18 novembre per partecipare alle fasi finali, e più politicamente importanti, della Cop 15 dell'Unfccc.

Un secco comunicato del Cremlino ha annunciato ieri: «Il presidente della Federazione russa parteciperà a una riunione dei capi di Stato e di governo nel quadro della conferenza sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite in corso a Copenhagen». Con l'arrivo di Medvedev a Copenhagen saranno presenti così tutti i leader dei 15 Paesi del mondo che emettono più gas serra.

A dire il vero alla Cop 15 DK la delegazione russa ha subito iniziato a mettere più in evidenza le differenze che i punti di accordo: il suo capo-negoziatore, Oleg Shamanov, che presiede il dipartimento del ministero degli esteri russo di problemi ambientali globali, ha detto che «I dissensi nelle posizioni dei Paesi in via sviluppo e dei Paesi sviluppati sono particolarmente evidenti. I Paesi in via di sviluppo rifiutano energicamente di assumersi obblighi vincolanti. Ma chiedono che i Paesi sviluppati si impegnino ad esigenti obblighi supplementari per ridurre le emissioni di gas serra dopo il 2012, pur rifiutando di ridurre le proprie emissioni.

La Russia cerca di raggiungere un accordo internazionale comune, globale e vincolante, che comprenda tutte le questioni legate al clima e che coinvolga tutti i Paesi. I principali emettitori mondiali di carbonio, siano essi sviluppati come gli Usa, o in via di sviluppo come l'India, la Cina e il Brasile, dovrebbero essere coinvolti nell'accordo». Strano che Shamanov non citi mai la Russia come protagonista e non la collochi mai in un qualsiasi "schieramento"...

A Copenhagen c'è anche Alexei Kokorin, responsabile del programma energia e clima del Wwf Russia, che marcoledi ha appoggiato la clamorosa protesta dei piccoli Stati insulari capeggiati dalle Tuvalu che ha bloccato i lavori della Cop 15. Secondo Kokorin il conflitto tra i piccoli Stati del Pacifico ed i Paesi ricchi è il segnale di un problema molto acuto che riguarda anche le economie emergenti, tra le quali si inserisce anche la Russia.

Il prudente e defilatissimo Shamanov non prende posizione, si è limitato a spiegare che «i colloqui sono stati ritardati a causa di disaccordi sulle proposte di alcuni Paesi per un nuovo accordo sul clima, destinato a sostituire il Protocollo di Kyoto, alcuni elementi del quale scadono nel 2012. Giappone e Tuvalu sono tra questi Paesi».

Intanto in Russia la stampa, ad iniziare da Ria-Novosti che ha addirittura organizzato per lui una videoconferenza con Pechino, ha dato risalto alle opinioni del climatologo Mikail Rukin che ha detto che le attività antropico-industriali non sono all'origine del cambiamento climatico globale. Secondo Rukin (uno tra coloro che sono sospettati di essere tra gli ispiratori del "climategate") «L'attuale cambiamento climatico è un processo naturale che fa parte delle oscillazioni cicliche delle temperature globali. Se esaminiamo la storia millenaria del clima, ci si può rendere conto del carattere ciclico dei cambiamenti climatici, che osserviamo attualmente».

Fortunatamente in Russia non tutti sono convinti delle posizioni "riduzioniste" di Rukin (che piacciono molto all'oligarchia gasiera-petrolifera putiniana), anzi, in molti evidenziano i danni che sta già provocando nel più grande Paese del mondo il global warming, provocato dai gas serra prodotti dalle attività industriali che utilizzano i combustibili fossili che la Russia rifornisce in così gran quantità.

Qualche giorno fa Oleg Anissimov, un ricercatore dell'Istituto di idrologia di San Pietroburgo, ha presentato un rapporto di Greenpeace Russia che evidenzia che «L'erosione della linea della costa artica si è considerevolmente accentuato a causa dello scioglimento del permafrost, il che ha fatto perdere alla Russia circa 30 km2 tutti gli anni. Lo scioglimento della "merzlota" (i ghiacci eterni), oltre alle sue conseguenze economiche, potrebbe soprattutto avere degli effetti geopolitici provocando delle perdite territoriali. L'erosione delle coste inghiotte tutti gli anni circa 30 chilometri quadrati del nostro territorio. Questo ha avuto luogo sempre, ma si è moltiplicato per 5 o 6 nel corso degli ultimi decenni».

Anissimov ha presentato un rapporto sulle conseguenze sociali ed economiche dello scioglimento accelerato del permafrost che saranno particolarmente forti in Siberia e nell'Estremo Oriente russo, dove i centri abitati sono preferibilmente costruiti sulla costa del mare o lungo i fiumi: «Il risultato è che l'erosione litoranea comincia a minacciare la presenza umanaSecondo Greenpeace Russia lo scioglimento del permafrost rappresenta una grande minaccia per il Paese: «La scomparsa del "pergelisol" aumenta i rischi di danneggiamento delle infrastrutture delle regioni del Grande Nord e mette così in pericolo l'economia russa».

Insomma, lo scioglimento del terreno ghiacciato non fa venire in superficie solo gli antichi cuccioli di mammut ancora integri, ma rischia di far sprofondare intere città nel suolo che si scioglie.

Il rapporto degli ambientalisti russi valuta le conseguenze che si sono già prodotte nel nord artico del Paese e presenta previsioni (non tranquillizzanti) per il futuro prossimo. Lo scioglimento del permafrost in molte regioni è già più che evidente e rapidissimo, con conseguenze ambientali, sulla biodiversità, sul possibile rilascio di grandi quantità di metano ed altri gas serra non del tutto immaginabili ma che, secondo tutti gli studi scientifici, si annunciano di grande impatto sul delicato equilibrio dell'Artico e sull'intero clima del pianeta. Greenpeace Russia ha cominciato a trasmettere il rapporto e le carte sulle zone più minacciate alle autorità russe, ai responsabili delle entità federali ed ai dirigenti delle grandi imprese industriali dello Stato-mercato-energetico russo.

Speriamo che una copia sia anche nella valigia che Medvedev si porterà a Copenhagen.

 

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