[11/12/2009] News
LIVORNO. Le isole Tuvalu, il quarto Stato più piccolo del mondo con soli 24 kmq di atolli di quelle che furono le Elice Island dell'impero biritannico, con poco più di 11 mila abitanti che ne fanno il terzo Paese indipendente meno popolato del pianeta dopo Città del Vaticano e Nauru, sono riuscite ad imporsi all'attenzione dell'opinione pubblica planetaria con una clamorosa protesta che ha bloccato la prima sessione di lavoro della Cop 15 di Copenhagen e gettato nel terrore le compassate delegazioni dei grandi Paesi industrializzati ed emergenti che non pensavano di trovarsi sul tavolo negoziale questo inaspettato microbo a scompaginare le carte depositate dai giganti.
Come succede nelle fiabe, il piccolo è arrivato ed ha detto «il re è nudo», ma in questo caso i re sono molti e tutti cercano inutilmente di coprirsi le vergogne.
Ma cosa vuole questo minuscolo Stato, questa lillipuziana monarchia con a capo Elisabetta d'Inghilterra, che rischia di finire sotto l'Oceano Pacifico?
Vuole semplicemente sopravvivere.
Lo ha spiegato alla commissione per lo sviluppo dell Parlamento europeo Apisai Ielemia (al centro nella foto), il primo ministro del governo insediato nella capitale Funafuti (4.000 abitanti): «L'aumento del livello e della temperatura del mare e le tempeste minacciano l'esistenza del popolo delle Tuvalu distruggendo le sue terre, le sue colture ed i suoi ecosistemi marini».
Ielemia ha detto agli eurodeputati che chiede alla Conferenza di Copenhagen «Un'azione mondiale per ridurre le emissioni di CO2, al fine di mantenere l'aumento delle temperature a meno di 1,5 gradi centigradi al di sopra dei livelli preindustriali». Mezzo grado in meno di quei 2 gradi sui quali (teoricamente) si sono accordati i leader delle grandi nazioni del pianeta, ma é il mezzo grado che può fare la differenza tra la vita o la morte delle Tuvalu.
«Durante le grandi maree e le tempeste, l'acqua del mare potrebbe penetrare ancora di più all'interno delle terre e ridurre ancora delle superfici limitate - ha spiegato il premier tuvaliano - Le onde hanno già distrutto alberi e colture. L'acqua marina sta anche contaminando le nostre acque sotterranee, i nostri coralli muoiono a causa dell'aumento della temperatura dell'acqua del mare, a detrimento dei nostri ecosistemi marini e del nostro approvvigionamento alimentare».
Apisai Ielemia ha respinto la possibilità di un reinsediamento dell'intera popolazione delle Tuvalu altrove (anche se questo migrazione é già iniziata in Nuova Zelanda ed Australia), non vuole ammainare la bandiera stellata di isole in un mare celeste e ornata con l'Union Jasck britannica: «Mentre Tuvalu si confronta con un avvenire incerto a causa del cambiamento climatico, noi pensiamo che i tuvaliani resteranno a Tuvalu. Noi ci batteremo per conservare il nostro Paese, la nostra cultura e il nostro modo di vivere. Non pensiamo a nessun progetto di migrazione. Siamo convinti che, se vengono prese delle misure appropriate per lottare contro il cambiamento climatico, Tuvalu sopravviverà. Le isole di Tuvalu costruiscono delle difese naturali per proteggere le barriere coralline e la costa, così come delle infrastrutture per proteggere le persone, i beni e il bestiame dagli effetti dei cicloni e delle tempeste. Inoltre, le Tuvalu riducono le sue emissioni di CO2, anche se sono minuscole paragonate a quelle di altri Paesi, principalmente facendo ricorso all'energia rinnovabile».
Il sito del Parlamento europeo riporta una breve sintesi della discussione avutasi in commissione dopo l'intervento di Ielemia.
L'eurodeputato socialdemocratico danese Michael Cashman ha insistito sulla necessità d'un accordo a Copenhagen che non si fermi solo a un impegno verbale, ma che preveda anche i corrispondenti finanziamenti : «Il caso di Tuvalu dimostra chiaramente che le sfide legate ai cambiamenti climatici sono il problema di questa generazione e non delle generazioni future».
Secondo Maurice Ponga, un eurodeputato francese del gruppo del Partito popolare europeo, occorre «Sensibilizzare i deputati sulla crisi che gli abitanti di queste isole devono affrontare quotidianamente. Troviamo i finanziamentio per fare in modo che il popolo di Tuvalu non venga spostato».
Secondo Charles Goerens, un liberaldemocratico del Lussemburgo, i finanziamenti per la lotta contro il cambiamento climatico non devono comportare un trasferimento degli impegni dell'aiuto pubblico allo sviluppo : «I finanziamenti destinati a lottare contro il cambiamento climatico devono essere allocati in supplemento. I finanziamenti esistenti per lo sviluppo si dimostrano già insufficienti e rischiamo di non poter rispettare gli Obiettivi del millennio per lo sviluppo». Goerens mette in luce le paure dei Paesi più poveri e vulnerabili che temono fortemente che gli aiuti promessi si trasformino in un trucco contabile, in una partita di giri da finanza creativa applicata alla disperazione, con i Paesi sviluppati che contabilizzano nei fondi per la lotta al global warming anche quelli destinati allo sviluppo, all'aiuto alimentare e alla sanità.
La verde svedese Isabelle Lovin ha sottolineato che «Tuvalu è ben classificata nell'Happy planet index, che misura il benessere delle nazioni, tenendo annche conto del suo impatto sull'ambiente. I Paesi industrializzati hanno molto da apprendere da isole come le Tuvalu sull'arte di vivere e sulla maniera di utilizzare le nostre risorse».
Il rischio éè che la Lilliput virtuosa ed arrabbiata delle Tuvalu anneghi nel Pacifico prima che il mondo del consumo globalizzato abbia capito quale e cosa sia l'arte di vivere meglio.