[14/12/2009] News
LIVORNO. Mentre a Copenhagen la polizia sembra tenere agevolmente a bada le intemperanze della minoranza più agitata dei no-global e le Ong punteggiano la città di iniziative pacifiche, il summit dei Capi di Stato e di governo europei a Bruxelles trovano un faticoso accordo sulla questione dei finanziamenti per i Pasesi in via di sviluppo: il contributo dell'Ue arriverà a 2,4 milliardi di euro all'anno tra il 2010 e il 2012, 7,2 miliardi in tutto, molto meno di quel che chiedevano le Ong e gli Stati più vulnerabili al global warming.
Comunque, il premier della Svezia Fredrik Reinfeldt, che ha ancora per qualche giorno la presidenza di turno dell'Ue, ha detto «Sono particolarmente soddisfatto del fatto che l'insieme dei 27 Paesi membri e la Commissione europea abbiano contribuito».
Il finanziamento quick start secondo l'Ue «corrisponde al finanziamento necessario alla messa in atto di misure di adattamento al cambiamento climatico nei Paesi in via di sviluppo. Questi fondi saranno utilizzati per ridurre le emissioni, attenuare gli effetti del cambiamento climatico e rafforzare le capacità. L'Ue vuole lavorare in modo che l'aiuto annuale mondiale apportato tra il 2010 e il 2012 sia di 7 miliardi di euro all'anno», ne mancano almeno 3 per raggiungere il minimo che l'Onu chiede per poter far solo partire un efficace adattamento al global warming.
A Copenhagen l'offerta e la riaffermata leadership dell'Ue non sembrano convincere troppo i sempre più sospettosi Paesi in via di sviluppo e questo anche se i lavori di revisione della bozza finale stanno continuando con il tentativo di includere il punto di vista dell'Africa, del G77 e di India e Cina. Ma i Paesi in via di sviluppo intanto tengono duro sulle loro proposte.
Chi si sta muovendo molto attivamente è l'India che vuole evitare a tutti i costi di essere etichettata come ostruzionista. Secondo The Economic Times «Questa decisione giunge in un momento in cui i negoziati sul clima sembrano essere in un vicolo cieco, con l'Unione europea che rende chiaro che non accetterà alcuna differenziazione tra i paesi sviluppati. Un'istanza che è rivolta agli Stati Uniti, che non sono vincolati dal Protocollo di Kyoto, come gli altri Paesi sviluppati».
Ma il dibattito fa emergere anche che il presunto accordo di ferro tra Cina ed Usa è probabilmente di latta, visto che gli americani stanno sempre più insistentemente chiedendo ai cinesi di sostenere un accordo vincolante anche per i maggiori Paesi emergenti. Sullo sfondo rimane il disaccordo che appare insanabile con i piccoli Stati insulari e quelli del G-77.
Ieri nell'incontro ministeriale informale l'India ha avanzato le sue obiezioni alla bozza di testo presentata dall'Onu, evidenziando il suo totale disaccordo su tre punti: l'anno di picco delle emissioni; l'obiettivo globale delle emissioni e la revisione dell'"adequacy of actions".
Il ministro dell'ambiente Jairam Ramesh ha detto che non esiste alcun modo per far accettare all'India un anno di picco, mentre potrebbe accettare un obiettivo globale di riduzione delle emissioni solo se sarà chiara l'equa ripartizione degli oneri. Per il governo di New Delhi è anche inaccettabile l'idea che nel 2016 ci sia una revisione completa dell'adeguatezza di impegni ed azioni adottati per la riduzione delle emissioni globali e che questo debba riguardare tutti i Paesi. Insomma, l'India è disposta a prendersi impegni volontari, a mettere in atto un Piano nazionale, ma non vuole nessun controllo sovranazionale. L'esatto contrario dei vincoli e dei controlli uguali per tutit (e giuridicamente vincolanti) chiesti dagli Usa, e che si stanno rivelando il grande problema dei negoziati in corso. Ma il "comparable treatment" degli Usa è inaccettabile anche per l'Ue, l'unico blocco di Paesi dove si è registrato un calo reale delle emissioni delle emissioni nel primo periodo di impegno del Protocollo di Kyoto.
Gli Usa di Obama si stanno dimostrando allergici a Kyoto proprio come quelli di Bush: il capo della delegazione statunitense a Copenhagen, Todd Stern, ha ribadito che gli Usa non accetteranno un accordo in stile Kyoto, che obbliga solo i Paesi sviluppati ad assumersi tagli di emissioni vincolanti. I cinesi sono tornati ad accusare gli Usa di essere responsabili della mancanza di progressi al summit Unfccc e hanno chiesto addirittura a Stern di leggere pubblicamente la dichiarazione congiunta rilasciata dal presidente Usa Barack Obama e da quello cinese Hu Jintao solo pochi giorni fa, quando l'alleanza sul clima tra l'aquila e il dragone sembrava cosa fatta.
Se Cina ed India sembrano aver trovato un'alleanza con l'Africa, devono fare i conti con l'Alliance of Small island states (Aosis) che sembra essersi rotta le scatole di questi giochini diplomatici mentre le isole spariscono nell'Oceano. L'Aosis chiede che anche le economie emergenti, a cominciare da India e Cina, adottino tagli di emissioni chiari ed obbligatori, anche se a livelli inferiori quelli dei Paesi ricchi. Il G77 cerca di trovare una mediazione tra i vari gruppi dei Paesi in via di sviluppo.
Secondo Ramesh un accordo deve essere raggiunto entro l'anno prossimo e il testo della dichiarazione politica finale di Copenhagen deve essere pronto prima che il primo ministro Manmohan Singh e altri leader mondiali arrivino nella capitale danese per partecipare alla fase finale dei 12 giorni del summit: «Ho chiaramente e categoricamente affermato a nome del governo indiano che il nostro Primo Ministro non verrà qui per negoziare il testo. L'India non farà compromessi sulla "teen-murti" (United Nations Framework Convention on Climate Change, Protocollo di Kyoto e Piano di azione di Bali)» Dobbiamo raggiungere un accordo entro il 2010. Il testo della dichiarazione politica deve essere pronto entro il 15 dicembre».
Chi sembra molto preoccupato per la piega presa dai negoziati è Rajendra Pachauri, il capo dell'Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) « Un fallimento nel raggiungimento di un accordo per combattere il global warming a Copenhagen sarebbe una grande battuta d'arresto per il mondo. Il cambiamento climatico sta accadendo più rapidamente di quanto si creda, tutte le prove evidenziano una sua accelerazione. Il mondo dovrà pagare di meno se agiamo rapidamente per combattere il cambiamento climatico. Se saremo in grado di ottenere un buon accordo questo creerebbe un'enorme quantità di fiducia nella capacità della società umana di essere in grado di agire su base multilaterale. Se falliamo non credo che tutto sia perduto, ma certamente sarebbe una grave battuta d'arresto». Rispondendo alle preoccupazione su un accordo al ribasso Pachauri ha detto che i più colpiti dall'impatto dei cambiamenti climatici saranno proprio i più poveri e che un aumento di 2 gradi della temperatura metterebbe in pericolo i piccoli Stati insulari, «Se agiamo subito i costi di mitigazione saranno davvero molto, molto inferiore a quel che nessuno aveva previsto».