[15/12/2009] News
LIVORNO. Ieri il presidente cinese Hu Jintao ed i suoi non certo democraticissimi colleghi di Turkmenistan, Uzbekistan e Kazakistan hanno inaugurato sulle rive del fiume Amu-Daira, alla frontiera tukmeno-uzbeca, il gasdotto che porta il gas dell'Asia centrale alla Cina affamata di energia per sostenere la sua crescita che, anche nel bel mezzo del crisi mondiale, ha fatto registrare un balzo del Pil di oltre l'8%.
Alla cerimonia era presente e soddisfatto il trio dei satrapi post-sovietici: il turkmeno Gourbanguly Berdymouhammedov, l'uzbeko Islam Karimov e il kazako Nursultan Nazarbaiev che hanno molto apprezzato il progetto considerandolo come «un esempio riuscito della cooperazione tra i Paesi della regione».
Quello inaugurato ieri, lungo 1.833 chilometri, in realtà è uno dei due gasdotti previsti, l'altro entrerà in servizio nel 2010. Il gasdotto parte dalla frontiera tra Turkmenistan ed Uzbekistan, attraversa l'Uzbekistan ed il Kazakistan e arriva nella turbolenta regione autonoma del Xinjiang, dove vivono i musulmani uiguri che vedono in questo patto economico-energetico tra cinesi e Paesi dell'Asia centrale ex sovietica un pericolo, soprattutto temono di perdere le loro basi di appoggio tra la diaspora uigura in quei Paesi.
Ma l'affare è troppo grande per tener conto della disperata lotta indipendentista dei fratelli musulmani del Turkestan Orientale: i gasdotti verranno collegati alla rete cinese e trasporteranno il gas dalle desolate steppe del Turkmenistan fino alle luccicanti metropoli costiere cinesi di Shanghai, Guangzhu e ad Hong Kong.
Soddisfattissimi naturalmente anche i cinesi che mettono piede in quell'Asia centrale dalla quale i sovietici li avevano sempre tenuti alla larga: «Questo progetto gasiero - spiega l'agenzia ufficiale Xinhua - risponderà agli interessi a lungo termine della Cina e dei Paesi dell'Asia centrale e promuoverà lo sviluppo socio-economico dei Paesi della regione».
Secondo la stampa turkmena controllata dal governo «La fornitura di gas naturale verso la Cina è importante per la messa in opera della strategia nazionale, che mira a diversificare le esportazioni energetiche sul mercato internazionale». Tradotto in linguaggio non diplomatico vuol dire che l'Asia centrale si sta affrancando dal monopolio russo sul gas e sul petrolio.
Ma in questo momento i russi hanno altro a cui pensare: la guerra endemica nel Caucaso si sta rivelando sempre di più per quello che è in realtà: una guerra etnico-energetica. Sono riprese le forniture di gas in Armenia e nelle repubbliche autonome russe dell'Ossezia del Nord che erano state sospese dopo la scoperta di ordigni esplosivi sul tratto del Caucaso russo del gasdotto Mozdok-Tbilisi. Le bombe erano state scoperte domenica scorsa e si è subito pensato alla mano della guerriglia islamica cecena. Ieri un ufficiale del Fsb inguscio aveva detto che in realtà le bombe trovate lungo il gasdotto erano due e che erano state confezionate utilizzando diverse bombe a mano. Secondo Gazprom «Le forniture di gas ai consumatori, sospese dopo la scoperta di esplosivo sulla pipeline, sono state completamente ristabilite».