[16/12/2009] News
GROSSETO. A tre giorni dalle conclusioni della Cop15 di Copenhagen le trattative sono ancora allo stallo, mentre si inaspriscono le misure da parte delle forze dell'ordine danesi, che stamattina hanno escluso centinaia di militanti delle organizzazioni ambientaliste e delle Ong, che sono notoriamente su posizioni più critiche rispetto ai negoziati.
In attesa dell'arrivo dei leader di Cina e Stati Uniti tiene ancora testa la delegazione africana che assieme ai piccoli Stati del pacifico, quelli cioè che potrebbero subire le più pesanti conseguenze del global warming, chiede di abbassare l'asticella della riduzione delle emissioni a 1,5 gradi centigradi, dopo aver minacciato di abbandonare il vertice per questo. Un obiettivo che risulterebbe assai più drastico dei 2 gradi - che già era visto come un risultato altamente ambizioso- su cui insistono i Paesi più poveri riuniti nel G77 che chiedono con sempre maggiore insistenza alle economie sviluppate e quelle emergenti impegni vincolanti e quantitativi di riduzione delle emissioni.
La fiducia che comunque «ci sarà un esito realistico» è riposta dal portavoce dei paesi africani, il Nobel Desmond Tutu, perchè «irrealistico sarebbe trovarsi senza un trattato che segni vincoli precisi».
Un richiamo rinnovato anche dal segretario generale dell'Onu Ban Ki Moon che ieri ha invitato di nuovo i i negoziatori presenti a Copenhaghen a chiudere un trattato sul clima legalmente vincolante «prima possibile entro il 2010» facendo trapelare un esito del vertice danese ipotizzato da prima che iniziasse, ovvero un accordo per chiudere il trattato con cifre e obiettivi da stabilire al prossimo vertice di Città del Messico, previsto appunto al 2010.
«Il nostro obiettivo - ha detto Ban Ki Moon - è di porre le basi per un trattato legalmente vincolante sul clima prima possibile nel 2010» e ha aggiunto che «Più forte sarà l'accordo qui a Copenhaghen, più presto potrà essere trasformato in un trattato legalmente vincolante».
Ma le divisioni sembrano sempre più ampie e oggi si è anche dimessa - inaspettatamente - da presidente del vertice climatico di Copenhagen, Connie Hedegaard, commissario europeo in pectore e ha assunto il suo ruolo Lars Lokke Rasmussen, primo ministro danese. La giustificazione ufficiale è per «motivi di procedura» quando la reale motivazione sembrerebbero invece le critiche da parte delle delegazioni africane di favoritismi verso le posizione meno radicali dei paesi industrializzati.
«Con così tanti capi di Stato e di Governo che sono già arrivati qui - ha detto la Hedeegard - credo sia più appropriato lasciare la presidenza al primo ministro.»
Oggi è infatti previsto l'arrivo di molti leader, tra cui il presidente venezuelano Hugo Chavez, il presidente dello Zimbabwe Robert Mugabe il presidente della Commissione europea Manuel Josè Barroso e il primo ministro britannico Gordon Brown, che dovrebbero parlare al summit sul clima, finora presieduto invece dai ministri dell'Ambiente.
Gordon Brown, parlando con la Bbc, ha detto di ritenere «molto difficile» trovare un accordo alla conferenza sul clima di Copenaghen, anche se si è dichiarato comunque «determinato a lavorare con tutti i Paesi» per tentare di arrivare ad un'intesa «nonostante le numerose questioni che restano da risolvere».
Ma la vera attesa è per l'arrivo del premier cinese Web Jiabao - fino a ieri iscritto nella lista degli oratori ma oggi scomparso - e del presidente Barak Obama, anche se da quanto risulta dalla dichiarazioni dei portavoce non ci dovrebbero essere grandi sorprese rispetto a quanto già annunciato.
«Non prevedo alcun cambiamento» ha detto il portavoce della Casa Bianca, Robert Gibbs, riferendosi all'impegno che è stato annunciato dal presidente Barack Obama due settimane fa. Aggiungendo che «Il presidente ritiene che si possa raggiungere un accordo operativo a Copenaghen».
Gli Stati Uniti si sono impegnati a ridurre le emissioni di anidride carbonica del 17 % al 2020 rispetto ai livelli del 2005, che equivale ad una riduzione del 4% rispetto al livello del 1990.
Mentre la Cina ha annunciato un impegno alla riduzione del 40-45% per unità Pil entro 2020.
Obiettivi che non sono ritenuti sufficienti non solo dai paesi africani ma nemmeno dall'Europa, che si è già impegnata a ridurre le emissioni del 20% entro il 2020, e sarebbe disponibile ad arrivare al 30% se a Copenaghen si arrivasse ad un accordo globale.
«Il consiglio europeo - ha detto il ministro degli Esteri Franco Frattini - ha deciso di ridurre del 20% le emissioni fino al 2010 ed arrivare fino al 30% se gli altri Paesi prenderanno impegni comparabilì». Ma non nasconde il ministro «disappunto e disapprovazione» per il fatto che addirittura si metta in discussione «se vi debba essere un accordo vincolante: se non ci sarà, sarà una disillusione per tutto il mondo». Il titolare della Farnesina ha anche ricordato che l'Europa ha già messo a disposizione un fondo di oltre 7 miliardi di euro per i paesi in via di sviluppo. «E' una cifra consistente - ha detto - l'Europa ha fatto la sua parte, ora la devono fare anche gli altri leader del mondo».
Insomma a Copenhagen, nonostante le temperature polari, il clima è già surriscaldato.
I lavori di Copenhagen, da oggi e sino alla conclusione del vertice, si potranno seguire in diretta via web. Legambiente, la rappresentanza in Italia della Commissione europea e il coordinamento in Marcia per il clima organizzano infatti una diretta via web Roma-Milano- Copenhagen in collaborazione con c6.Tv.
Le postazioni saranno a Milano al Palazzo delle Stelline e a Roma presso il gazebo allestito a piazza Montecitorio, dove dalle 12 alle 14 e dalle 17 alle 19 si potrà seguire fisicamente la diretta e parlare con esperti giornalisti,associazioni. Oppure virtualmente collegandosi al sito www.stopthefever.org.