[17/12/2009] News

Copenhagen, grande è la confusione sotto il cielo. E la Cina ci sguazza

LIVORNO. Il nervosismo delle forze dell'ordine a Copenhagen riflette il nervosismo senza manganelli e manette che ha fatto già saltare la presunta intesa a due Cina-Usa che avrebbe dovuto blindare il summit dell'Unfccc sul clima.

Ieri è arrivato nella capitale danese il primo ministro cinese Wen Jiabao, per domani è atteso il presidente Usa Barack Obama e si spera che una sua presenza possa aiutare a concludere un accordo che, in queste ultime e confuse ore, invece di avvicinarsi sembra allontanarsi.

Obama si è fatto però precedere dalle dichiarazioni del suo portavoce, Robert Gibbs, che ha avvertito: «Ogni accordo ai negoziati di Copenhagen dovrà essere verificabile per vedere se tutte le parti rispettano i loro impegni sulla riduzione delle emissioni di carbonio». Esattamente il contrario di quello che dicono indiani e cinesi, spalleggiati dagli altri Paesi emergenti ed in via di sviluppo, che ricordano come la road map di Bali avesse indicato che solo gli obiettivi dei Paesi sviluppati dovevano essere "misurabili, comunicabili e verificabili", mentre gli sforzi di riduzione dei gas serra da parte dei Paesi in via di sviluppo verso lo sviluppo sostenibile dovevano essere sostenuti in maniera "misurabile, comunicabile e verificabile" in termini di finanziamenti e realizzazione delle capacità nazionali. L'accusa non detta (ma nemmeno tanto velata) all'amministrazione Obama è quella di non rispettare nemmeno gli impegni presi obtorto collo a Bali da George W. Bush.

Intanto Wen a Copenhagen sta tessendo una tela di incontri con tutti ed ha subito dichiarato, in una conferenza stampa, che la sua partecipazione al summit «Mira a dimostrare la grande importanza che il governo e il popolo cinese danno al cambiamento climatico ed a dimostrare la loro sincerità e la loro determinazione a collaborare con la comunità internazionale per rilevare questa sfida. La conferenza di Copenhagen sui cambiamenti climatici é ormai entrata nella sua ultima fase, la più critica. Rimarrò in stretta comunicazione  e coordinamento con le differenti parti e pronuncerò un discorso che spiegherà la posizione della Cina sui cambiamenti climatici».

Posizione già nota ma che sta dimostrando a Copenhagen una spregiudicata flessibilità, tanto che la Cina vuol far credere che il salvatore di Copenhagen potrebbe avere gli occhi a mandorla e la confusione attrae dalla parte della dittatura cinese insospettabili alleati.

«In quanto grande Paese, la Cina farà la sua parte - ha detto orgogliosamente il vice-ministro degli esteri di Pechino, He Yafei - E' per questo che abbiamo adottato un approccio costruttivo e positivo durante i negoziati di Copenhagen ed oltre», poi ha riaffermato il mantra cinese delle "responsabilità comuni ma differenziate" che ha ipnotizzato gran parte dei Paesi in via di sviluppo e ribadito che la trincea cinese è il Protocollo di Kyoto, che non impone nessun vincolo ai Paesi fuori dall'Annex I, che riguarda esclusivamente quelli industrializzati.

Le agenzie ufficiali cinesi esaltano questo "senso di responsabilità" (che in realtà nasconde una rigidità) come l'unica speranza per ottenere un risultato positivo a Copenhagen.

Intanto la delegazione cinese fa da retroguardia ben munita alle iniziative più clamorose prese dai vari gruppi di Paesi in via di sviluppo: Jiang Yu, un portavoce del ministro degli esteri, ha detto che «La Cina sostiene l'utilizzo prioritario dei fondi climatici per i Paesi meno sviluppati, le piccole isole ed i Paesi africani». La Jiang ha anche detto che è falso quanto ha scritto il Financial Times riferendo una dichiarazione di He Yafei, cioè che la Cina non chiederebbe il sostegno dei Paesi sviluppati per ridurre le sue emissioni: «Si tratta di un malinteso. He Yafei ha detto che la Cina comprende le principali preoccupazioni dei Paesi meno sviluppati, delle piccolo isole e dei Paesi africani e che le affida una grande importanza».

La confusione è grande sotto il cielo, avrebbe detto Mao Tse Tung sotto le nuvole cariche di neve di Copenhagen, ma i suoi eredi sembrano sguazzarci molto bene.

Ieri la delegazione cinese ha preparato l'arrivo di  Wen Jiabao con una protesta ufficiale contro le bozze dei testi finali della presidenza danese, accusandola di averli presentati senza consultare le Parti della Conferenza Unfccc: «E' un procedimento condotto dalle parti. Voi non potete presentare dei testi come se fossero caduti dal cielo» ha detto la potente "capo" dei negoziatori cinesi, Su Wei, agli allibiti funzionari di Copenhagen in piena sessione plenaria. Poi la Su ha spiegato ai giornalisti  che «E' stato convenuto che la sola base legittima delle discussioni sui risultati dei negoziati di Copenhagen sarà il risultato del lavoro effettuato dai due gruppi di lavoro della conferenza. L'azione della presidenza della conferenza mette molto in pericolo la riuscita del risultato di Copenhagen».

Dopo che nelle critiche della Cina si erano uniti anche India e Brasile, c'è stata la ritirata strategica della Hedegaard dalla presidenza della Conferenza e la sua sostituzione con il primo ministro danese Lars Lokke Rasmussen.

Probabilmente la Cina continua a giocare sul tavolo del trattato vincolante, ben sapendo che non ci sarà a Copenhagen, per mantenere la testa dei Paesi in via di sviluppo e presentarsi in Messico (o a Bonn  a giugno come comincia ad ipotizzare qualcuno) come leader di un fronte compatto "anti-occidentale".

Un progetto "terzomondista" dal quale, che se si saldasse, dovrebbe guardarsi per prima l'Unione europea che a Copenhagen non pare in grado di esercitare la sua troppo spesso proclamata leadership e che, grazie anche all'atteggiamento danese (la Hedegaard è già stata nominata Commissario Ue), rischia di essere risucchiata nel girone dei "cattivi" del clima.

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