[18/12/2009] News toscana

L'assessore Conti a greenreport: "Ma siamo sicuri che per la sostenibilità il consumo di suolo sia sempre e comunque un male?"

FIRENZE. Al Pit della Toscana si accompagna una legislazione per il governo del territorio che, rispetto alla prevalente natura di "indirizzo" che caratterizza fin dal nome il Piano, è ovviamente "cogente", per definizione. In particolare, uno degli elementi di maggiore evoluzione che caratterizza la legge 1/2005 rispetto alla precedente è, quando si parla della possibilità di effettuare consumo di suolo libero, la sostituzione dell'espressione "di norma consentita in assenza di alternative di riutilizzazione dell'esistente" con l'espressione "esclusivamente consentita in assenza di alternative". La norma, soprattutto nella stesura attuale, avrebbe dovuto quindi limitare significativamente il consumo di suolo.

Assessore Conti, questa norma ha avuto effettiva applicazione? E come - dal punto di vista operativo - avviene (o avverrebbe) la verifica dell'esistenza di alternative al consumo di suolo libero?

«Avviene in sostanza attraverso l'applicazione del Piano, che attua il suo "lavoro" attraverso un ragionamento che passa per i Piani strutturali e arriva ai Regolamenti urbanistici. Ed è a quel punto che si vede se è stato consumato suolo aggiuntivo a quello che serviva. E i risultati, in questo senso, ci sono stati, e lo si vede anche dai dati sul contenimento della crescita del consumo di suolo che ha caratterizzato la Toscana negli ultimi anni rispetto ai periodi precedenti. E' una politica che è passata (intende "che ha funzionato", nda), e ciò dimostra che quello che conta, a livello regionale, è dare un'impostazione: sono poi i Piani strutturali a indicare non "cosa si farà e dove", ma le quantità effettive di "nuovo" e di "recuperato".

Comunque devo dire che personalmente credo sempre meno ai ridimensionamenti. Ad esempio, il consumo di suolo specifico per il settore industriale è aumentato: ma siamo sicuri che il fenomeno sia effettivamente negativo alla luce della generale questione della sostenibilità, che non passa solo per il consumo di suolo ma che consta anche di miglioramenti di efficienza che talvolta richiedono un maggiore consumo di suolo?

E in questo discorso mettiamoci anche il criterio del contenimento della crescita delle aree urbane: siamo sicuri che è stato una cosa buona puntare alla "densificazione urbana" per contrastare il consumo di suolo?

Davanti a questi dubbi, io credo che il ruolo fondamentale, la "figura chiave" su cui la Regione deve incentrare la sua attività politica sia quella ispirata ai "grandi e piccoli progetti territoriali", che si espletano nella produzione di analisi di fattibilità, nelle perequazioni, nel coordinamento di progetti inter-comunali. E il caso di Piombino che ho citato oggi (Conti ha parlato del percorso di evoluzione territoriale di Piombino come di un "buon esempio" di una efficace e integrata azione di pianificazione e regia, nda) è, come detto, un buon esempio di cosa si intenda: se andava tutto per conto suo, senza una regia regionale, tra 10 anni i vari portatori di interesse stavano ancora al tavolo a confrontarsi».

Ma ritornando alla legge 1/05 in sé e per sé, possiamo comunque dire che non c'è coerenza tra la forte prescrittività "per iscritto" in termini di consumo di suolo contenuta nella legge e l'elasticità (giusta o sbagliata che sia, non è questo il punto) che ha caratterizzato l'effettiva azione di governo anche attraverso il Pit?

«No, io non credo. Si è fatto il Pit proprio per dare contributi programmatici e applicativi alla legge: questo perché, come sappiamo, le leggi sono "stupide", inteso nel senso tecnico del termine. E, allo stesso modo, "stupidi" sono i vincoli, come dimostra ad esempio il fatto che la legge Galasso (cioè la legge nazionale 431/85, che aggiornava la normativa sul paesaggio, nda) crei grossi problemi nella gestione delle aziende agricole nel momento in cui cercano di migliorare il terreno su cui operano, ad esempio intervenendo sui boschi adiacenti.

Insomma, la legge è stupida, mentre il Piano può essere fatto bene o male, ma certo non è stupido, in questo senso. Ogni giorno la Pubblica amministrazione produce migliaia di atti di governo del territorio, e questi atti devono essere coerenti con le indicazioni del Piano regionale. E' in questo modo che il controllo diventa parte integrante del sistema di gestione: è un concetto che si richiama a quello di "Piano a filiera" di cui ho discusso oggi, e che naturalmente prevede un sistema di pesi e contrappesi per l'azione di governo».

In generale, come si misura in via oggettiva l'efficacia dell'azione di governo del territorio?

«E' un mix di fattori, tra cui spiccano le valutazioni sull'utilità e la qualità dell'azione politica e la vocazione verso il reddito (e non verso la rendita) che essa induce nella società. L'urbanistica stessa, ricordo, era nata per contrastare la rendita, mentre invece essa è diventata "produttrice" di rendita. Credo che vada recuperata la vocazione originale dell'urbanistica.

E, in questo senso, anche il fatto che i Piani territoriali abbiano una durata limitata, e cioè 5 anni, è un ulteriore fattore di contrasto alla rendita, perché l'imprenditore sa che le concessioni hanno durata temporale limitata.

Comunque,per rispondere più dettagliatamente alla domanda, diciamo che per valutare l'efficacia dell'azione di governo si monitora l'andamento di alcuni indicatori fondamentali: l'edilizia sociale, la vocazione al reddito e non alla rendita, la creazione di formazione, le valutazioni sulla partecipazione civica e amministrativa alle scelte, e anche il grado di apertura del sistema alla concorrenza, cioè al mercato, poiché esso è di per sé "alternativo" alla rendita».

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