[29/12/2009] News toscana

Parco della Piana come "vaso di ferro", parco della Piana come "vaso di coccio"

FIRENZE. «Occorre partire da un presupposto fondamentale, e cioè che il parco è l'elemento ordinatore dell'intera area, che ridefinisce l'unità di misura»: con queste parole, affidate all'edizione fiorentina de "La Nazione" di ieri, il garante per la comunicazione nel governo del territorio, Massimo Morisi, ha evidenziato quello che è probabilmente il punto centrale del dibattito sul parco della Piana. E' evidente, cioè, che l'impronta che assumerà il parco, cioè se esso sarà "vaso di ferro" o "vaso di coccio" davanti ad altri ambiti di sviluppo infrastrutturale previsti nella stessa zona, condizionerà fortemente l'intera politica del territorio nella Piana fiorentina-pratese.

Come giustamente riporta Morisi, infatti, è necessario tenere ben presente che «il parco rappresenta una grande opportunità per migliorare la qualità della vita urbana di oltre 700.000 persone, e non scordare questo assunto quando si parla di possibili infrastrutture». E' quindi «sbagliato pregiudicarsi una simile opportunità ponendo l'alternativa tra parco e (altre) infrastrutture. E' l'equilibrio che va trovato, senza rinunciare all'ipotesi principale: la qualità di un grande parco metropolitano», che poi ovviamente non preclude - in via generale, e guardando a cosa avviene in altri paesi - la realizzazione di altre infrastrutture di matrice più propriamente economica, al di là di quali siano effettivamente in ballo nell'area in questione, e cioè l'ampliamento dell'aeroporto e la realizzazione dell'inceneritore di Case Passerini in primo luogo, ma anche il completamento della strada Perfetti-Ricasoli (Firenze-Prato, a nord dell'A11), la terza corsia dell'A11 stessa e - dall'altra parte dell'attuale pista aeroportuale - la ventura "Cittadella viola" e in generale l'area di Castello, ancora sotto sequestro giudiziario.

Insomma, la posizione espressa da Morisi gira intorno alla "ridefinizione dell'unità di misura": se la Piana è da considerarsi solo un contenitore, uno "sgabuzzino" di territorio e suolo libero da stipare fino alla saturazione, allora è da attendersi che in futuro questi ormai pochi kmq di suolo saranno trasformati in "crescita", fino al momento in cui di suolo non ne sussisterà materialmente più, nella Piana. E il parco potrà solo rallentare il raggiungimento di questo degrado. Se invece si saprà cambiare unità di misura, puntando al benessere umano e alla qualità ambientale e prendendo questi due fattori come invarianti fondamentali degli obiettivi dell'azione di governo del territorio, il suolo e il paesaggio ancora liberi nella Piana saranno trasformati in "sviluppo" e "qualità", invece che in "crescita" fine a sé stessa: e niente impedisce, naturalmente, anzi è necessario che all'interno di questo sviluppo sia compresa anche una robusta "crescita", che dovrà aversi però in un contesto in cui la sostenibilità ambientale e sociale faranno da traino per quella economica, e non il contrario.

Quanto scritto, se ha valore in generale, appare ancora più stringente per quanto riguarda la Piana fiorentina, la cui saturazione territoriale è oggettivamente a livelli molto alti, imparagonabili a quanto avviene in qualunque altro hinterland delle città toscane. E' cioè, la Piana, una piccola riproduzione di quanto avviene nel mondo in termini di limitatezza delle risorse, in questo caso della risorsa "territorio": se, cioè, in varie parti della Toscana e dell'Italia la "saturazione" del territorio è evento più teorico che pratico, almeno allo stato attuale, ciò non vale invece per la Piana, dove uno sviluppo post-bellico frenetico ha comportato un'espansione delle aree abitate (e soprattutto delle attività produttive) più improntata allo sprawl che ad un processo pensato, pianificato e governato di sviluppo del territorio.

E, per affrontare adeguatamente questo aspetto, è importante in primo luogo, appunto, evitare di contrapporre l'infrastruttura-parco e altre infrastrutture, anche se chiaramente non è da attendersi che "l'equilibrio" auspicato da Morisi possa effettivamente essere raggiunto con facilità. E soprattutto occorre che i decision makers, nel momento in cui è stata intrapresa la messa in opera dell'infrastruttura-parco, proseguano poi con decisione verso una sua effettiva realizzazione, senza tentennamenti e senza ambiguità davanti alle costanti pressioni di alcune categorie economiche e politiche locali che - a torto o a ragione - hanno mostrato di voler percorrere, per la Piana, la strada della "crescita fino all'ultimo cm disponibile", invece di quella di una sostenibilità dello sviluppo.

A conclusioni analoghe giunse anche il docente di Selvicoltura urbana - ed esperto di partecipazione del verde pubblico - presso la facoltà di Agraria dell'università di Firenze, Fabio Salbitano, nella sua intervista a greenreport del 3 aprile scorso: secondo Salbitano, infatti, per giungere alla messa in opera di un "vero parco" occorrerebbe «prima di tutto un riconoscimento della priorità del parco: se è un bene pubblico, esso deve necessariamente discriminare le altre scelte. Altrimenti si può anche considerare il parco solo come una delle funzioni possibili in zona, ma esso poi sicuramente soccomberà sul piano economico davanti ad altri aspetti, altre funzioni».

E poi c'è la partecipazione, anzi più che "la partecipazione" di per sé è in ballo, nella Piana, il più influente e imponente (in termini sia di popolazione interessata, sia di territorio potenzialmente coinvolto) progetto territoriale che sia stato messo in opera in seguito all'approvazione della legge 69/2007: anche se il Parco è previsto fin dagli anni '90 (risalgono infatti al decennio passato i primi progetti di fattibilità e i primi concorsi di idee "informali"), infatti, è stato con la l.r. 69 che esso ha acquisito forza e dignità di progetto urbanistico, proprio grazie all'impostazione "partecipativa" che esso ha assunto. E, come spesso avviene, anche se il processo partecipativo sta venendo portato avanti con buoni risultati (lo conferma anche l'enorme affluenza di pubblico che lo stand del Parco montato al Festival della Creatività ha ottenuto), in realtà l'obiettivo del processo non è solo quello di giungere ad un assestamento condiviso dell'area verde, e nemmeno solo quello di ottenere, con la collaborazione di più "teste pensanti" possibili, la migliore sistemazione territoriale possibile del futuro parco e dei suoi collegamenti interni materiali (piste ciclabili, greenways, tramvie, mobilità sostenibile in generale) e immateriali (reti telematiche e contenuto di informazione).

Obiettivo (o meglio meta-obiettivo) fondamentale del processo partecipato per il parco della Piana deve invece essere quello di superare quella che Salbitano definì «una percezione di estraneità del cittadino della Piana riguardo alle zone interessate dal parco. Esso è visto come "terra di nessuno", dove cioè la moltiplicazione delle funzioni rende impossibile il "sentirlo proprio"».

Ed è proprio questo "recupero di percezione" di un territorio che molti cittadini vedono invece come "terra di nessuno" che è da considerarsi come uno degli obiettivi fondanti del processo partecipativo in corso: e questo elemento, se perseguito, potrà comportare anche un recupero della percezione dell'intera Piana da parte dei cittadini del fiorentino e del pratese, e dei centri intermedi dell'hinterland. Una percezione che oggi non sussiste, e che quindi fa sì che ciò che è ritenuto "terra di nessuno", e cioè le aree libere della Piana, possano essere trattate alla stregua di "terra di conquista" da parte di appetiti politici ed economici di per sé più che legittimi, ma anche di per sé alternativi ad uno sviluppo improntato alla sostenibilità.

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