[07/01/2010] News
PISA. D'altronde del protrarsi e talvolta dell'aggravarsi di una situazione che sembra sfuggire alle più elementari regole di governo lo conferma anche lo sconcertante stato della nostra classificazione delle aree protette, una anagrafe che non è in grado di darci conto in maniera aggiornata né del numero né della tipologia delle nostre aree protette terrestri e marine. Anagrafe approssimativa a cui si accompagna la mancanza ormai da tantissimi anni di qualsiasi relazione annuale del ministero-pur prevista dalla legge- sulla situazione complessiva dei nostri parchi.
Come abbiamo già accennato di scarso aiuto sono state finora anche quelle frettolose indagini parlamentari che ben poco hanno a che vedere con indagini del tipo di quelle fatte a suo tempo, ad esempio, sulla legge 183. Sembra insomma che si preferisca non scoprire troppi altarini sulla effettiva realtà soprattutto dei parchi nazionali che dipendono dal ministero. A parte qualche recente sortita cha va dalla proposta di abrogazione degli enti ad una riduzione indifferenziata della composizione dei consigli a danno solo però degli enti locali e non delle rappresentanze ministeriali perché i soliti furbetti del ministero non possono smentirsi mai.
A nessuno però finora è venuto in mente di mettere a confronto, ad esempio, l'autonomia di un parco regionale anche nella scelta del direttore e la gestione della vigilanza oltre che nella facoltà di spesa e quella dei parchi nazionali sottoposti a controlli e autorizzazioni che fanno rimpiangere persino quelli prefettizi di qualche decennio fa sugli enti locali. Anzi se il direttore finora era scelto dal ministero tra una terna di nomi ora dovrebbe farlo -in base ad una di quelle cervellotiche ipotesi che circolano- senza neppure la terna. E non parliamo della vigilanza dipendente dal Corpo forestale dello stato e dal ministero dell'agricoltura che non risponde ai comandi dell'ente parco ma di altre sedi con effetti assurdi di cui non sarebbe difficile portare una serie infinita di esempi più volte documentati che però ci si bada bene dal prendere in considerazione. Meglio tacere sulle magagne e buttarla in politica; parchi ‘poltronifici', carrozzoni e via screditando.
E qui si pone un aspetto giustamente richiamato da molti autori -Di Plinio tra questi- sull'influenza non sempre positiva a salutare anzi decisamente negativa della politica di cui i non dimenticati commissariamenti a raffica dei parchi nazionali- restano uno degli esempi meno commendevoli.
Il disagio, perciò, specie di questi tempi in cui l'indice di gradimento della politica è quello che è più che comprensibile legittimo. Ma proprio per questo dobbiamo evitare sbandate che non gioverebbero a nessuno.
Con la legge quadro del 91 la tutela o protezione dell'ambiente entra a tutti gli effetti -verrebbe da dire- nei ruoli dello stato. Certo c'era l'art 9 della Costituzione ma qui non solo il campo si estende o trova una sua più ampia specificazione e esplicitazione ma cambia la gestione. Da competenze affidate ad organi tecnici ministeriali- le sopraintendeze etc- si passa ad una gestione affidata a soggetti istituzionali -gli enti parco- con il compito di fare dei piani ( ben due) sovraordinati a quelli anche degli stessi enti elettivi. Enti insomma espressione del sistema istituzionale.
La politica c'entra dunque ma solo in quanto sono i soggetti istituzionali che in leale collaborazione debbono procedere ad una equilibrata composizione ‘istituzionale' e non politica. Istituzionale perché le rappresentanze dello stato, delle regioni e degli enti locali devono rappresentare soggetti istituzionali e non di maggioranza o di minoranza, ripartizione che vale all'interno dei singoli soggetti ma non tra soggetti tutti di pari dignità senza eccezione alcuna istituzionale. Negli enti parco si è rappresentanti di una istituzione non di un partito. Non si tratta perciò di inseguire velleitarie zone di sicurezza fuori dalla mischia richiamando magari un ruolo maggiore se non esclusivo della scienza, che sta semmai alle istituzioni riuscire a coinvolgere nella maniera più qualificata e adeguata.
Va rilanciato insomma il ruolo istituzionale degli enti parco che ne sarà però pregiudicato e appannato se le competenze e le risorse dei parchi e delle aree protette perderanno di incisività e credibilità.
La conflittualità politica che elude o discredita questa esigenza istituzionale e culturale danneggia pericolosamente i parchi non meno dei tagli di risorse e altre ipotesi bislacche. Come discredita tutte le altre istituzioni che cercano giustamente attraverso le proprie associazioni ANCI., UPI. UNCEM; Conferenza delle regioni di far valere le loro istanze non partitiche ma istituzionali, Che è quanto cerca di fare Federparchi per i parchi e le aree protette.
Sotto questo profilo è paradossale che proprio nel momento in cui per rispondere alla crisi mondiale si riconosce che i temi ambientali devono assumere un ruolo sempre meno subalterno alla economia e alla finanza si tenti in maniera confusa e pasticciata di ridisegnare un ruolo dei parchi del tutto marginale e ancillare rispetto alle sfide del presente.
Mentre insomma si avverte in maniera acuta in tutto il mondo l'esigenza di un accresciuto ruolo delle politiche ‘pubbliche' per l'ambiente qui si stà rimettendo in discussione proprio questo tipo di presenza e proprio nei comparti che malgrado errori e inadempienze esse hanno dato prove di indiscutibile valore.
I parchi sono senza ombra di dubbio nonostante i silenzi e le omissioni ministeriali il comparto in cui -ad esempio- la pianificazione in crisi in tutti i settori ha dato i risultati più significativi specie in ambito regionale. Pensare di rilanciare più efficaci politiche di governo del territorio mettendo in cassa integrazione i parchi e le aree protette è dunque un marchiano errore. E lo ancor di più se lo si fa all'insegna di una presunta esigenza di ridurre gli impedimenti a interventi a sostegno di una ripresa economica. La crisi che stiamo vivendo è dovuta anche e non poco a politiche scellerate che hanno fatto pesanti danni ambientali di cui oggi paghiamo il conto salato. Per uscirne occorrono politiche di segno opposto e parchi con i loro piani e progetti vanno proprio della giusta direzione. Lo hanno capito in molti paesi dove nessuno pensa di penalizzare i parchi in nome del piatto che piange.
Ecco perché bisogna -alla vigilia di impegnative scadenze di riforma delle istituzioni- rimettere a fuoco anche il discorso sui parchi che doveva essere al centro della terza conferenza nazionale di cui nessuno ha saputo più niente nonostante le precise proposte di Federparchi.