[08/01/2010] News
GROSSETO. Il ministro dell'istruzione Mariastella Gelmini ha presentato prima delle vacanze natalizie il Programma nazionale della ricerca (Pnr) per il triennio 2010-2012. Un piano che prevede di innalzare dello 0,11 la quota di investimenti pubblici rispetto al pil (dallo 0,56% attuali allo 0,67) in tre anni e che potrebbe, nelle intenzioni del ministro, arrivare in seguito anche all'1%.
Ancora lontano quindi dalla quota del 3% indicata dalla strategia di Lisbona nel 2000 che gli stati membri dell'Ue avrebbero dovuto raggiungere già entro quest'anno e con poche speranze di raggiungere l'obiettivo se il collega del tesoro, il ministro Giulio Tremonti, non aggiungerà altre risorse ai 400 milioni dei fondi First per investimenti nella ricerca scientifica e tecnologica, relativi al 2009, che dovrebbero essere certi, anche se non ancora assegnati.
Il nodo risorse si dovrebbe sciogliere entro fine gennaio (secondo quanto scrive oggi il sole 24ore) quando il Piano della ricerca dovrà passare prima dal Cipe e poi dal Consiglio dei ministri, e teoricamente potrebbe raggiungere la cifra di 10 miliardi di euro entro il 2013.
La somma deriva dal miliardo annunciato giovedì scorso dal ministro Claudio Scajola (in grado di attivarne un altro dai privati) attraverso la Cassa depositi e prestiti, cui dovrebbero aggiungere altri 1,6 miliardi di fondi strutturali europei destinati al piano Pon ricerca e competitività 2007-2013 e altri 7 inizialmente preventivati dal Miur.
Ma, appunto, per il momento la disponibilità di fondi (per altro non ancora assegnati) è di soli 400 milioni di euro per un programma che dovrebbe far salire di uno zero virgola la quota di risorse pubbliche destinate a ricerche e sviluppo; e che indica le direzioni verso le quali il governo dovrebbe muoversi nel suo insieme per garantire almeno un piccolo passo in avanti per sanare il ritardo del nostro paese rispetto al resto d'Europa.
Tre sono le raccomandazioni al governo contenute nelle linee d'indirizzo del Miur e 18 le linee d'azione necessarie per attuare il piano, che prevedono la sinergia tra interventi lungo l'asse istituzionale dal locale al nazionale da realizzarsi nel breve, medio e lungo periodo .
Tra le raccomandazioni l'attuazione di una politica industriale volta a stimolare gli investimenti in ricerca e sviluppo da parte delle imprese, il richiamo alla necessità di facilitare l'accesso all'innovazione delle Pmi e una maggiore responsabilizzazione delle università e degli enti pubblici; una strategia che era alla base del progetto industria 2015 varato (ma non portato a termine per la fine anticipata della legislatura) da parte del governo Prodi.
Due i punti di forza su cui il ministro dell'Istruzione sembra voler poggiare il piano: la valorizzazione del capitale umano e in particolare le giovani leve e gli esiliati della ricerca e il mondo delle imprese, favorendo nell'immediato i settori del made in Italy e puntando per il futuro in settori innovativi declinati in sei driver che corrispondono all'energia, i materiali, le neuroscienze, la genetica, l'informazione, l'ambiente.
Un piano d'azione che potrebbe rivelarsi basilare per innescare le leve necessarie ad indirizzare l'economia verso uno sviluppo sostenibile, sempre che le raccomandazioni al governo venissero prese alla lettera e trasformate in indirizzi di politica economica coerenti.
Resta comunque il fatto che, almeno per ora, l'obiettivo seppur ambizioso si regge su fondamenti assai poco saldi in termini di risorse disponibili ad oggi e piuttosto scarse per il futuro.