[13/01/2010] News
GROSSETO. La green energy sta facendo campagna acquisti e nel listino delle figure professionali richieste compaiono profili di competenze altamente qualificate sia per gli aspetti tecnici, che relazionali, che commerciali. Segno che il vento sta cominciando a soffiare anche in Italia verso quella che ancora si chiama green economy, ma che come scriveva qualche giorno fa Jacopo Giliberto sul sole 24 ore, tra pochi anni si chiamerà economia e basta, senza l'aggettivo che ne limita erroneamente l'ambito d'intervento che invece è assolutamente orizzontale.
Si tratta di almeno 100mila nuovi occupati per il nostro paese - secondo le stime del libro bianco dell'Unione europea - tra tecnici installatori e operai manutentori d'impianti di energie rinnovabili, sino a business developer e project manager.
Il problema è allora se siano già disponibili in Italia professionalità pronte a soddisfare la domanda che al momento ha già assunto questi numeri ma che sarà destinata ad allargarsi dato che siamo - come Giliberto - convinti che nel futuro o sarà green o non sarà più economia.
La risposta che - sempre sul quotidiano economico - dà Silvia Macchini, responsabile green energy di Promelec international, una società specializzata nella ricerca di figure professionali richieste dal mondo delle imprese, non è incoraggiante, ancorché piuttosto attesa, quando sottolinea il ritardo delle nostre università rispetto al resto d'Europa nel formare gli studenti secondo le richieste dell'impresa.
Le principali scuole di alta formazione in Usa e in Europa hanno aperto da anni i master nei settori che gravitano attorno al tema della sostenibilità: sia essa culturale, urbana, nei processi industriali nel settore delle costruzioni o in quello dell'energia e scorrendo le offerte dei vari atenei qualche cosa comincia a trovarsi anche in Italia, ma non regge certo il confronto.
Un ritardo che appare ancora più rilevante se il confronto lo si fa con gli Usa e che assume toni deprimenti soprattutto se lo si guarda con la lente del futuro.
A questi e in generale al sistema educativo la nuova amministrazione Obama, che assieme alla sanità e alla green economy ne ha fatto i cardini della nuova politica americana, ha destinato ben 4 miliardi di dollari. Così come ha investito nelle energie verdi che garantiscono un ritorno occupazionale assai più cospicuo che non quelle tradizionali oltre ad avere una ricaduta in termini ambientali non trascurabile.
Uno studio del Peterson institute of international economics ha provato a fare i conti sui ritorni occupazionali nel caso in cui i soldi stanziati con il pacchetto "verde" fossero stati destinati, invece, ad altri settori e i risultati danno ragione alle scelte dell'amministrazione Obama: un miliardo di dollari speso in energia pulita può creare circa 30mila posti di lavoro all'anno contro i circa 25mila che si avrebbero con lo stesso miliardo speso, ad esempio,per la costruzione di strade.
Il motivo secondo gli autori dello studio sta nella maggior spesa privata indotta dallo stimolo pubblico orientato alla sostenibilità che non si ha invece nell'altro caso.
La stessa cosa che potrebbe avvenire destinando più fondi pubblici alle università per aumentare l'offerta formativa in settori ambientali, che avrebbe la forza di attrarre anche maggiori risorse da parte dei privati, oltre a stimolare una maggiore affluenza da parte degli studenti.
Ma mentre nei pacchetti anticrisi in Francia e Germania e persino in Cina i governi hanno aumentato notevolmente le proprie spese anche a sostegno dell'istruzione pubblica, nel nostro Paese il Programma nazionale della ricerca (Pnr) per il triennio 2010-2012, che prevede di innalzare di una misera quota gli investimenti pubblici (lo 0,11 rispetto al pil) ad essa destinati in tre anni è ancora in attesa di sapere se verrà finanziata oppure no e quindi se sarà possibile o no attuarla.
Se quindi il futuro dell'economia è destinato ad essere sempre più verde e di conseguenza le richieste nel mondo del lavoro saranno sempre più verso figure qualificate in tal senso, la formazione dovrebbe almeno andare di pari passo, meglio anzi anticipare questa tendenza; ciò presuppone, certo, anche una capacità da parte del sistema universitario di essere all'altezza dei tempi e quindi capace di innovarsi ma non può prescindere da un investimento convinto da parte dello Stato, che appare invece decisamente sordo a questo riguardo. E questo rende assai opaca la lente del futuro.