[15/01/2010] News
ROMA. Il 12 gennaio a Washington il Worldwatch Institute ha presentato il suo famoso e prestigioso rapporto annuale "State of the World 2010" (che viene ogni anno tradotto in oltre 30 lingue). Quest'anno il rapporto è dedicato al tema "Trasformare le culture: dal consumismo alla sostenibilità" e, proprio in questi giorni, sto lavorando, come ormai avviene da 23 anni, all'edizione italiana del rapporto che curo, appunto, dal 1988, quando riuscii a farlo pubblicare per la prima volta in Italia (allora dalle edizioni ISEDI di Torino, mentre dal 1997 il rapporto viene edito da Edizioni Ambiente di Milano - l'edizione 2010 sarà in libreria entro il prossimo marzo).
Lo State of the World, che apparve per la prima volta nel 1984, scaturisce da una straordinaria idea del grande fondatore del Worldwatch Institute, Lester Brown: quella di mettere a disposizione del lettore un rapporto che potesse dar conto dello stato di conoscenza esistente sulla salute del nostro mondo e sui progressi della società verso la sostenibilità del nostro sviluppo. Da allora ad oggi il Worldwatch produce, anno dopo anno, un testo veramente di piacevole lettura, con un innovativo taglio interdisciplinare, che riesce a fornire una chiave di analisi integrata delle relazioni tra i sistemi naturali ed i sistemi sociali presenti sul nostro straordinario Pianeta.
Nella presentazione al rapporto il premio Nobel per la Pace, Mohammed Yunus, il noto economista del Bangladesh, creatore del microcredito ha scritto :
«Il Worldwatch si è assunto un impegno non facile. L'obiettivo dichiarato di questo volume è dei più ambiziosi. Nessuna generazione prima d'ora, nell'intera storia del mondo, è riuscita a realizzare una trasformazione culturale così profonda come quella invocata in queste pagine. I numerosi articoli di questo volume dimostrano come tale riforma sia possibile. Passando attraverso un riesame dei presupposti del nostro moderno stile di vita e toccando tutti gli ambiti della nostra società, dalla gestione aziendale ai programmi scolastici, alla pianificazione familiare, alla pianificazione urbanistica. Forse non tutti i lettori concorderanno con ogni singola idea proposta. Ma l'audacia dell'idea di fondo è innegabile e toccante: trasformare radicalmente la nostra cultura è possibile. Anch'io credo sia così, dopo avere assistito alla fantastica rinascita culturale delle donne del Bangladesh. Lo scopo della cultura, dopo tutto, è di fare in modo che tutti possano sviluppare ed esprimere le proprie potenzialità, non di ergersi come una barriera e impedire agli individui di migliorarsi e progredire. Una cultura che non consente alle persone di crescere è una cultura morta. E le culture morte dovrebbero stare nei musei, non in una società civile».
Christopher Flavin, presidente del Worldwatch Institute, scrive nella sua introduzione: «Negli ultimi cinquant'anni il consumismo si è imposto quale cultura dominante in un paese dopo l'altro. È diventato uno dei motori dell'inarrestabile crescita della domanda di risorse e della produzione di rifiuti che sono il marchio distintivo della nostra epoca. L'attuale portata degli impatti ambientali è di certo legata a fattori quali un'esplosione demografica senza precedenti, la diffusione di un certo livello di ricchezza e benessere, e una serie di scoperte epocali in campo scientifico e tecnologico. Ma è altrettanto innegabile che il consumismo è corresponsabile di questa situazione, in quanto ha contribuito a incentivare - e ad amplificare oltre misura - le altre forze che hanno permesso alle nostre civiltà di crescere oltre il limite di sopportazione dei rispettivi contesti ecologici».
Per modificare questa situazione è necessaria una vera e propria rivoluzione culturale i cui elementi, già in atto, in tante società in tutto il mondo, vengono brillantemente esposte in questo volume da numerosi autori, di diversa cultura e provenienza.
E proprio in merito a questo punto, i grandi ecologi della Stanford University, Paul ed Anne Ehrlich scrivono : «Sembra evidente che la sola consapevolezza del pericolo biofisico che sta correndo la nostra civiltà sia insufficiente a stimolare i cambiamenti necessari per evitarne il collasso. Occorre una comprensione più ampia del modo in cui le culture si modificano, il che sottolinea l'urgenza da parte della società globale di concentrarsi sulla necessità di una rivoluzione culturale». Proprio per questo scopo Paul Ehrlich, insieme a tanti altri illustri studiosi, ha dato l'avvio ad un affascinante Millennium Assessment of Human Behavior (MAHB), che è nelle fasi iniziali del suo sviluppo ed il cui obiettivo è proprio quello di comprendere a fondo come sia possibile questa rivoluzione culturale (vedasi il sito http://mahb.stanford.edu) .
Nel 2006 si sono consumati oltre 30.000 miliardi di dollari di beni e servizi, il 28% in più rispetto a dieci anni prima. Questa crescita nel consumo si traduce in un drammatico incremento dell'estrazione di risorse. Oggi estraiamo ed utilizziamo circa 60 miliardi di tonnellate di materie prime ogni anno, il 50% in più rispetto a solo 30 anni fa. Si tratta di una massa equivalente al peso di circa 41.000 edifici grandi come l'Empire State Building di New York.
La gente nei paesi ricchi consuma almeno 10 volte di più rispetto agli abitanti dei paesi poveri. In media un abitante del Nord America consuma circa 90 chilogrammi di risorse ogni giorno. In Europa il livello di consumo è di circa 45 kg. al giorno pro capite, mentre in Africa è di circa 10 kg. al giorno.
I 500 milioni di abitanti più ricchi del pianeta (che costituiscono circa il 7% della popolazione mondiale) sono responsabili del 50% delle emissioni di anidride carbonica a livello mondiale, mentre i più poveri del pianeta, oltre 3 miliardi, sono responsabili per appena il 6% delle emissioni.
A fronte di tutto ciò la domanda centrale per le agende della politica internazionale dovrebbe essere questa : è possibile consentire uno stile di vita, quale quello medio attuale degli abitanti dei paesi ricchi, caratterizzato da alti livelli di trasformazione e consumo di risorse e di produzione di scarti, a tutta la popolazione mondiale che, ad oggi, è di 6,8 miliardi ed a quella prevista per il 2050, di poco più di 9 miliardi ?
La comunità scientifica che, da decenni, cerca di comprendere il complesso funzionamento dei sistemi naturali e gli effetti dell'intervento umano su di essi è, da tempo, ben chiara su questo punto. La risposta è: non è possibile.
Eppure noi continuiamo a vivere in un sistema culturale basato su alcune idee chiave relative, ad esempio, al perseguimento di una continua crescita materiale e quantitativa e a meccanismi di sovra consumo, che producono un'ingente quantità documentata di effetti deteriori di tipo economico, sociale ed ambientale.
Dobbiamo cercare di essere tutti attivi protagonisti di questa fondamentale rivoluzione culturale che deve condurci dal consumismo alla sostenibilità. Come ci ricorda il rapporto del Worldwatch e le stesse parole di Yunus, ciò è possibile. Il tempo, purtroppo, non gioca a nostro favore.