[18/01/2010] News

La ricerca europea: statistiche impietose e case history incoraggianti

GROSSETO. Il 2010 è l'anno dei bilanci per quanto riguardo gli obiettivi di Lisbona (anno 2000) ovvero di fare dell'Europa il faro per l'economia della conoscenza, e quelli di Barcellona (anno 2002) far raggiungere gli investimenti in ricerca e sviluppo il 3% del pil, diminuito poi al 2,5%. Obiettivi che non sono stati traguardati e che anzi appaiono piuttosto lontani non solo nell'area degli investimenti pubblici ma anche in quelli delle imprese.

Secondo i dati del rapporto sulla ricerca scientifica e lo sviluppo tecnologico pubblicato a dicembre dalla rivista R&D Magazine ( 2010 R&D Global Forecast), nel 2009 e per il secondo anno consecutivo, l'Unione Europea ha investito nella scienza e nell'innovazione tecnologica l'1,69% del Pil, poco meno ma comunque meno della media mondiale che è l'1,97% del pil.

L'Europa ha perso terreno nei confronti non solo dell'America ( che complessivamente spende 2,32% del pil) ma viene anche dopo l'Asia, che investe l'1,95% della ricchezza prodotta.

Non va meglio per la ricerca e innovazione nel settore privato, dove le imprese europee che hanno fatto di più e che si trovano nella classifica delle prime 20 nel rapporto della commissione europea (2009 Eu Industrial R&D Investment scoreboard) hanno investito una somma pari allo 0,5 del pil dell'intera unione per un totale di 63,6 miliardi di euro. Una cifra importante ma che non regge il confronto con i 26 miliardi di euro spesi nello stesso anno (il 2008) dalle sole imprese cinesi o ai 7,6 miliardi di euro che la Toyota ha investito nello stesso anno.

Il doppio di quanto hanno investito in Italia Fiat e Finmeccanica messe assieme ( 1,98 miliardi di euro la prima e 1,76 la seconda), che compaiono comunque tra le prime 20 imprese europee in investimenti in ricerca e innovazione, dove al primo posto si colloca Volkswagen con 5,92 miliardi di euro, e che si dividono tra il settore automobilistico, quello chimico e quello elettronico.

Lo spaccato che riguarda il nostro paese emerge dai dati dell'Istat (che si riferiscono però al 2007) da cui emerge che la maggior parte degli investimenti in ricerca e innovazione (oltre il 70%) li fanno aziende di almeno 500 dipendenti, mentre- con le dovute eccezioni- la piccola e media impresa cede il passo.

Ed è proprio a questo settore economico che con il nuovo anno il ministero dello Sviluppo economico ha stanziato nuovi fondi per promuovere l'innovazione per un totale di circa 60 milioni di euro, senza per altro alcun riferimento alle aree d'intervento: va bene tutto basta che siano progetti basati si idee innovative, nonostante anche il ministro dell'economia Giulio Tremonti, che ha in mano i cordoni della borsa, riconosca che la green economy è uno dei driver fondamentali per la crescita.

Per fortuna ci pensano le aziende a indirizzare i loro sforzi per garantirsi un futuro nel mercato globale investendo in innovazione e riconversione verde. Ne dà rassegna nelle ultime settimane il Sole 24 ore e da tempo Affari e finanza di Repubblica. Segnali che la riconversione di segmenti in crisi non solo come conseguenza della tempesta economica che ha colpito il pianeta, ma per effetto del declino di un modello economico non più adeguato, sono possibili e fattibili senza troppi sconquassi. Pertanto anche l'idea di riconversione dell'impianto Fiat di Termini Imerese a fare altro che non automobili - visto l'ormai acclarata sovracapacità produttiva - non appare poi tanto peregrina.

Carraro ad esempio, l'azienda di Padova che produce trattori, dopo il passato annus horribilis che ha visto dimezzare il suo fatturato, ha visto la fine del tunnel grazie ad una scommessa iniziata già qualche anno fa. Quando cioè ha trasformato la sua esperienza in macchine agricole e autotrazione in applicazioni dirette al settore delle energie rinnovabili e le ha messe assieme a quelle del settore dell'elettronica possedute da Elettronica Santerno. La fusione ha dato vita alla meccanotronica, una branca che produce inverter per gli impianti a energia rinnovabile oltre ad altri sistemi che vengono utilizzati in motori ibridi.

Una esperienza positiva che ha spinto Carraro ad addentrarsi in altre esperienze che stanno sempre alla base dei motori utili al funzionamento degli impianti ad energia rinnovabile, che fanno ben sperare per l'affrancarsi del nostro paese nella componentistica necessaria allo sviluppo di questa tipologia di produzione energetica, che -per la maggior parte- è stata sino ad ora importata.
Piccole esperienze crescono quindi, a riprova del fatto che l'impresa pare essere un passo avanti rispetto alla politica e che se questa guidasse la partita mettendo in campo gli strumenti necessari e indirizzando la strada da intraprendere, la crisi potrebbe davvero essere una occasione non sprecata per cominciare riconvertire la nostra economia in chiave ecologica.

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