[18/01/2010] News
Si spegne signori si chiude- L'era della diminuzione, Giuliano Cannata, Edizioni XL
Chi conosce Giuliano Cannata sa anche di questa sua convinzione, che ripete da ormai quasi vent'anni con il cruccio di non essere ascoltato, ovvero che le statistiche sulla crescita demografica sono destinate ad essere tutte smentite. «Il fatto più rivoluzionario della storia umana» lo definisce l'ingegnere cui si deve l'intuizione dell'ambientalismo scientifico che è stata ed è la cifra caratteristica di Legambiente (da quando era Lega per l'ambiente) e «che si poteva, alla fine, riassumere in due numeri soltanto, l'incontrovertibile avvicinarsi del fatidico traguardo delle decrescita: nascite sotto l'1,38 % all'anno dei morti, fertilità totale sotto ai 2,07 figli per donna, valore minimo necessario per la sostituzione».
Con questo libro Cannata, prova a delinearne anche le ragioni con una analisi che incrocia il dato statistico con quello antropologico ( il rifiuto del procreare) in una veste narrativa non sempre facile da seguire, così densa di citazioni, perifrasi, incisi.
Si parte appunto dal dato statistico del ritmo di crescita della popolazione in calo: non solo come fenomeno che investe ormai da anni il mondo occidentale, ma come fenomeno globale la cui conseguenza sarà una crescita zero della popolazione umana, data l'attuale fertilità media pari a 1,3, ovvero un tasso inferiore a quel «2,07 che mantiene fissa la popolazione nelle generazioni, compensando anche le morti giovanili», come spiega l'autore in una nota.
Di questo passo «tra una ventina d'anni - scrive Cannata - gli esseri umani che nasceranno sulla Terra saranno meno dei morti a regime: la popolazione del mondo dovrebbe cominciare così a diminuire», ma aggiunge «già oggi, anche se nessuno ne parla, i numeri della cosiddetta crescita zero (che in realtà sono già in drammatico calo) che siamo ad attribuire all'Italia o all'Europa, si estendono rapidamente a tutto il resto del mondo: sì che il boom demografico, i dieci venti miliardi di bocche temuti e minacciati, che ha segnato in modo drammatico il nostro recente passato (o addirittura tutta la storia umana) si è rovesciato in soli vent'anni».
Oggi la popolazione mondiale si attesta a circa 6,8 miliardi ed entro la metà del secolo potrà raggiungere una cifra di oltre 9 miliardi, valore medio considerato tra la probabilità che arrivi a circa 8 o 10.
«E' probabile che la popolazione totale si sarebbe fermata a 8 miliardi - scrive Cannata - in presenza di un numero di morti normale, cioè 1,2 o 1,3%, e non certo lo 0,9% attuale che prefigura un picco breve ma accentuato: che invece potrebbe portare la popolazione a 9 miliardi».
Seppure sia necessaria prudenza nel valutare dati che riguardano una media statistica mondiale e dovendo rimarcare che vi sono ancora molti paesi in diverse aree geografiche del pianeta dove ancora non si registrano tassi di fertilità in regressione ma anzi con numeri relativi alla natalità ancora decisamente elevati, senza dubbio si deve rilevare che siamo di fronte a un cambio di prospettiva che viene addirittura auspicato.
«Uno sviluppo più lento della popolazione - ha scritto in un rapporto pubblicato lo scorso novembre l'Unfpa (il fondo delle nazioni unite per la popolazione) - contribuirebbe a sviluppare la resilienza sociale agli effetti del cambiamento di clima e contribuirebbe ad una riduzione delle emissioni di gas serra in futuro».
E la differenza tra uno o due miliardi in più significa uno o due miliardi in più di tonnellate di anidride carbonica all'anno, secondo il rapporto Onu.
Lo sviluppo demografico è visto quindi come uno dei fattori che influenzano le emissioni totali di gas serra sia nei paesi industrializzati che in quelli in via di sviluppo.
Ma è anche un fattore che visto con la lente dell'antropologia porta a rivisitare il nostro essere uomini, la specie biologica che ha occupato la terra in maniera più impattante delle altre, e il nostro rapporto con il futuro, in cui il rifiuto alla procreazione può essere visto anche come una presa di coscienza delle difficoltà di perseguire con l'approccio allo sperpero delle risorse del pianeta come è stato sino ad ora o come una forma/ tentativo di prosecuzione della specie: «averne di meno ora perché duri immutata la possibilità di averne in futuro».
Agli albori di un nuovo secolo carico d'incertezze, la specie umana si trova per la prima volta quindi (o almeno la prima volta in maniera cosciente dato che, ricorda Cannata parlando del «soffocamento "casuale" dei neonati nel lettone dei genitori», una tendenza inconscia alla diminuzione è sempre esistita) di fronte alla necessità di fissare un limite alla quantità e alla qualità dei suoi impatti su questo pianeta, affinché questa specie possa sperare nella sua continuità e sulla possibilità poter proseguire la sua presenza sul pianeta.
E forse, sostiene Cannata, una società dove la popolazione tende a diminuire, sarà anche meno ossessionata dalla ricerca della crescita economica: «compagna indissolubile della diminuzione sembra essere la smaterializzazione dell'economia e le radici tecnologiche e sociali dei due fenomeni sembrano avere molto in comune. La diminuzione in corso allora è doppia, un po' meno uomini e un po' meno roba prodotta da ciascun uomo: 0,9 per 0,9 si è detto già 0,81, la produzione di anidride carbonica per capita totale è in diminuzione (spontanea) da decenni nel mondo».
Ma così sappiano non essere, sia per la dematerializzazione che non può dirsi ancora in atto, prova ne sono il continuo prelievo di materie prime e la continua crescita dei rifiuti come metabolismo dell'attuale società (seppur in diminuzione demografica), così per la produzione di anidride carbonica le cui concentrazione in atmosfera dovrà anzi essere tagliata almeno dell'80% a livello planetario per poter mantenere la crescita della temperatura entro due gradi centigradi.
Il fatto che essendo di meno vi sia meno necessità di cercare una via per uno sviluppo sostenibile, (che in questa prospettiva pare perdere anche il suo significato originale) appare quindi non proprio condivisibile, almeno in questa fase storica.
Anche essendo in meno si può consumare di più e produrre livelli d'inquinamento esorbitanti, la storia recente ce lo dice, con i livelli d'inquinamento del mondo occidentale che in termini demografici pesa senza dubbio meno di quello orientale: il livello di anidride carbonica prodotto dagli Usa è in termini procapite assai più alto di quello della Cina, seppur quest'ultima sia divenuta in termini assoluti negli ultimi anni di crescita economica il primo emettitore a livello planetario.
Il tema del pianificare il futuro, per usare un termine che lo stesso autore prende a riferimento (non a caso essendo sempre stato un fautore della necessità della pianificazione a partire dal territorio), e cercare un modello per uno sviluppo sostenibile non sarà quindi da mettere nel cassetto nel prossimo futuro.
«Nel segno della pianificazione s'apre ora il secolo della diminuzione e del rifiuto che le sta dietro - scrive l'autore - Era stata sinonimo di crescita (questa sua volta scambiata e confusa con lo sviluppo: quasi che fossero fungibili), sarà presto sinonimo di tutt'altro, ora che lo sviluppo ha mostrato essere tutt'altra cosa, financo nei suoi aggettivi moderativi, compatibile, sostenibile, velleitari, spesso scioccamente consolatorii ("sostenibile" è forse proprio il più sciocco, ma compatibile, umano, umanizzato naturalizzato non sono da meno».
Per Cannata «se questa fase di stasi demografica e di totale soddisfacimento dei bisogni materiali ci offre uno stato stazionario come quello (favoleggiato) dell'età dell'oro , allora il sogno della pianificazione si riapre sotto altre sembianze, quelle dell'antropologia culturale».
E in questa direzione dovrà mutare nel suo approccio culturale. «Il quadro di trasformazione acuta in cui questa pianificazione prenderà corpo già nei prossimi anni sarà imprevedibile.- scrive Cannata- L'evoluzione biologico-culturale di Darwin o di Elderidge continuerà nell'unica strada dell'evoluzione culturale già in atto: ma si allargherà insieme un mondo di organismi rapidamente modificati».
Una cosa è certa, quale che sia il mondo che verrà e che lasceremo alle generazioni (anche in fase di decrescita) dopo di noi e sul quale potremo avere idee anche non completamente coincidenti, non è eludibile la nostra responsabilità- come collettività umana nei confronti di quelle future- nel lasciare dopo di noi un ambiente in cui sia comunque possibile perpetrare la nostra specie.